Previdenza

Padula: sulle pensioni complementari adesioni da ripensare

di Davide Colombo

Il 2021 sarà un anno “trasformativo” per tanti aspetti della vita economica, come sostengono molti osservatori nazionali e internazionali. Per la previdenza complementare italiana si preannuncia invece come un anno qualunque, forse condizionato in negativo da maggiori vincoli di liquidità dei lavoratori e delle famiglie. L’operazione “silenzio/assenso” per incentivare le adesioni alle forme pensionistiche complementari è sfumata; nessuna norma in legge di Bilancio. Un’occasione perduta? Lo abbiamo chiesto a Mario Padula, il presidente della Commissione di vigilanza sui fondi pensione.

Se si fosse fatta quell’operazione, come l’avrebbe immaginata a 14 anni dall’ultimo semestre di sperimentazione?
Il meccanismo di silenzio-assenso deve essere ripensato. Può aumentare in modo sostanziale adesioni e contribuzioni, ma sono importanti i dettagli. Ad esempio, nel Regno Unito il datore di lavoro iscrive automaticamente il lavoratore ad un fondo pensione e comincia a versare. In Italia, no. Si versa il Tfr solo dopo 6 mesi, se il lavoratore non ha manifestato la volontà di non aderire. Oltre al come, conta anche il quando. Fasi recessive dell’economia e di alta volatilità dei mercati non aiutano questi meccanismi a funzionare. C’è poi un’altra questione, quella del comparto di default, cui i cosiddetti silenti sono automaticamente iscritti. Al momento, questo comparto è il garantito. È una previsione che va superata, considerando i rendimenti molto bassi che il comparto garantito offre e l’inerzia che spinge gli iscritti a rimanere nel comparto di iscrizione.

L’industria del risparmio gestito in questi anni ha messo il piede sull’acceleratore sul fronte dell’offerta fintech. I fondi negoziali sono ancorati alle pratiche cartacee del Novecento, come mai?
Sulla spinta della regolamentazione europea e di quella nazionale, i fondi pensione negoziali hanno consolidato il ruolo dell’Ict nel rapporto con gli iscritti. Oggi è possibile ottenere attraverso i siti web dei fondi molte più informazioni (e nelle aree riservate molte più prestazioni) di quante se ne potevano ottenere anche solo 5 anni fa. E nel futuro si potrà ottenere ancora di più. Tuttavia, manca per molti fondi negoziali un passo decisivo, la possibilità di aderire online. L’adesione online aiuterebbe ad avvicinare potenziali iscritti ai fondi pensione e ad attenuare la tensione che l’adesione determina nelle imprese di più piccole dimensioni, in cui rimane il Tfr non devoluto a previdenza complementare.

Presidente l’anno prossimo è il quinto della sua gestione al vertice della Covip: restiamo uno dei paesi a più bassa adesione alla previdenza complementare e, contemporaneamente, tra quelli con la più bassa fiducia sulle pensioni future. Come è possibile?
Dai confronti internazionali emerge in modo chiaro che il peso della previdenza di secondo (e terzo) pilastro è inversamente proporzionale a quella del primo. L’Italia non fa eccezione a questa regola. Nondimeno, la previdenza di secondo e terzo pilastro continua a crescere in Italia in termini di adesioni e contribuzioni, anche in questa fase difficile, sebbene a tassi più contenuti che nel passato. Ciò detto, due considerazioni da cui partire per interpretare gli andamenti della previdenza complementare in Italia e accompagnarne un ordinato sviluppo. La prima, gli andamenti della previdenza complementare non possono che riflettere quelli dell’economia in generale. Un economia, quella Italiana, che soffre di una crisi di produttività che si protrae da troppi anni. La seconda, i numeri medi, a cui spesso ci riferiamo, nascondono i tanti dualismi della società italiana: adesioni e contribuzioni sono più alte al Nord che al Sud, tra gli uomini che tra le donne, tra i meno giovani che tra i più giovani, nelle imprese medio-grandi che nelle piccole.

Nel 2015 l’aliquota di imposta sui rendimenti cumulati dai fondi pensione era al 11,5% oggi al 21%, è questa una delle ragioni? Si può tornare indietro?
Si può e si deve riflettere sulla possibilità di tornare indietro, rivedendo la fiscalità alla luce dei futuri sviluppi della previdenza di secondo e terzo pilastro e soprattutto tenendo conto della natura previdenziale del risparmio accumulato nei fondi pensione. Di tale natura anche la fiscalità deve tener conto. Non si deve commettere l’errore di assimilare il risparmio previdenziale ad altre forme di risparmio orientate al breve periodo. Vale per la fiscalità, ma vale come approccio generale. Per ragioni di equità e di efficienza. Per equità, perché il risparmio previdenziale è molto più trasversale nella distribuzione della ricchezza rispetto ad altre forme di risparmio. E per efficienza, perché il risparmio previdenziale è naturalmente orientato al lungo periodo, diversamente da altre forme di risparmio.

L’introduzione della “portabilità” da un anno all’altro dell’ammontare di deducibilità fiscale non utilizzata in un determinato anno potrebbe essere di particolare interesse a seguito dell’emergenza Covid 19. È una sua vecchia proposta ma non è mai stata ascoltata, perché?
Sì, in questa fase potrebbe risultare particolarmente utile la possibilità di “spalmare” sugli anni di imposta successivi il beneficio fiscale non goduto in un dato anno. È una possibilità che già esiste in altri Paesi alle cui esperienze, anche in questo caso, sarebbe utile rifarsi per dare un contributo ad uno sviluppo ordinato del sistema. Più in generale, a circa trent’anni di distanza dall’introduzione della previdenza complementare è tempo dedicare un po’ meno energie a discutere il se e un po’ più a discutere il come. I sistemi previdenziali multipilastro sono il modo in cui si fronteggiano le conseguenze economiche della transizione demografica, in una prospettiva di integrazione dei diversi pilastri pensionistici.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©