Previdenza

Aiuti alle partite iva al bivio tra sussidi e supporti allo sviluppo

di Silvia Ciucciovino

L’Indennità straordinaria di continuità reddituale e operativa per i professionisti con partita Iva (Iscro), introdotta dalla legge di Bilancio, è una nuova misura di sostegno del reddito per lavoratori sino ad ora privi di tutela. L’Iscro infatti è una misura emergenziale, prevista per un triennio (2021-2023), sottoposta a limiti di spesa, selettivamente riconosciuta a una sottocategoria particolare di lavoratori autonomi: i titolari da almeno quattro anni di partita Iva, iscritti in via esclusiva alla gestione separata Inps e con reddito non superiore a 8.145 euro l’anno precedente la domanda. Una soglia reddituale molto bassa per una partita Iva, al di sotto delle quale potrebbero forse annidarsi situazioni sospette di dissimulazione di rapporti di altra natura.

Se si eccettua la Dis-Coll per i co.co.co. con iscrizione esclusiva alla gestione separata Inps, prevista ormai a regime dal 2015, le misure per gli autonomi sono state introdotte prevalentemente sulla spinta dell’emergenza pandemica, sotto forma di indennità straordinarie una tantum riconosciute per pochi mesi per le diverse categorie (dagli occasionali ai co.co.co delle zone rosse, alle partite Iva, agli iscritti alle gestioni speciali Inps, eccetera).

Tuttavia, per come è regolata, la nuova indennità presenta alcuni profili che rischiano di creare problemi e complessità.

In primo luogo si prevede un contributo aggiuntivo per le partite Iva iscritte alla Gestione separata (0,26% nel 2021 e 0,51% nel 2022 e 2023), che si risolve in un aumento del carico contributivo. La contribuzione aggiuntiva Iscro grava non soltanto sui lavoratori potenzialmente interessati alla misura, ma su tutte le partita Iva iscritte alla Gestione separata (con reddito superiore a 50mila euro, a causa della contemporanea previsione dell’esonero contributivo triennale previsto dalla stessa legge di Bilancio per autonomi e professionisti con reddito inferiore a 50mila euro nel 2019). Dato che Gestione separata Inps è in attivo, forse si poteva evitare la contribuzione aggiuntiva. Tanto più che la misura è sottoposta a limiti di spesa ed è transitoria.

In secondo luogo poco opportuna appare la previsione dell’obbligo di frequenza di percorsi di aggiornamento professionale per i beneficiari, da regolare con decreto interministeriale e previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni. Insomma, una misura che scimmiotta la condizionalità propria degli ammortizzatori strutturali ma che rischia di risolversi in una inutile complicazione (e forse spreco di risorse, che non è ben chiaro se verranno messe a disposizione dalle Regioni), tenuto conto della entità e durata limitata del trattamento (l’Iscro non può eccedere i sei mesi e può essere richiesta una sola volta nel triennio).

Insomma, è da sperare che l’Iscro non rappresenti una sorta di anticipazione dell’ammortizzatore universale per i lavoratori autonomi, da più parti invocato e previsto anche dalla Commissione tecnica ministeriale per la riforma degli ammortizzatori sociali.

Un’eventuale revisione di carattere strutturale dell’ambito di applicazione degli ammortizzatori sociali oltre il lavoro subordinato richiede attente valutazioni di equità e coerenza interna al sistema del lavoro autonomo e non può prescindere dalla considerazione che il principio di tutela del lavoro in ogni sua forma ed applicazione (articolo 35 della Costituzione) non necessariamente impone una parificazione dei sistemi di protezione sociale per il lavoro autonomo e per il lavoro subordinato.

A monte c’è la questione se il sostegno al lavoro autonomo, più che sotto forma di sussidio o integrazione temporanea del reddito, non debba essere realizzato piuttosto mediante l’aiuto strutturale all’iniziativa economica e professionale, per promuovere la produzione di ricchezza e non soltanto redistribuirla. Anche per contrastare la caduta progressiva dell’ingresso dei giovani nel lavoro autonomo e professionale (evidenziato dal Rapporto sul mercato del lavoro 2020 del Cnel).

Se si vuole proseguire sulla strada della estensione degli ammortizzatori sociali al lavoro autonomo, però, non si può eludere in via preliminare la questione di come definire quella situazione di “debolezza” del lavoro autonomo che giustifica l’intervento dello Stato sociale (articolo 38 della Costituzione). Il concetto di dipendenza economica del lavoro autonomo non è ancora definito dalla legge. Mentre ad oggi è stato adottato il diverso criterio della debolezza contrattuale per estendere le tutele proprie del lavoro subordinato ai collaboratori eterorganizzati dal committente.

E poi non si può ragionare dell’estensione strutturale degli ammortizzatori senza affrontare il nodo del finanziamento della maggiore tutela che, per come è attualmente configurato il funzionamento del welfare italiano, nel medio lungo termine richiede ai giovani i sacrifici maggiori.

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