Previdenza

Pensioni, il disavanzo risale da 20 a 33 miliardi nel 2020

di Davide Colombo e Marco Rogari

Dopo sette anni di disavanzi tra contributi e prestazioni in miglioramento, fino al “minimo” di 20 miliardi calcolati nel 2019 al netto dei trasferimenti dello Stato, il peso della previdenza è tornato a salire. Il disavanzo l’anno scorso è balzato a 33 miliardi e nelle proiezioni di Itinerari previdenziali resterebbe oltre i 31 miliardi quest’anno e tra i 25 e i 26 miliardi nel biennio 2022-2023. Il Think-Tank di Alberto Brambilla (ex consigliere di Matteo Salvini dopo la rottura di due anni fa su “Quota 100”) prevede flussi di uscita stabili con un numero di pensionati attorno ai 16,1 milioni nel triennio a venire e nell’Ottavo Rapporto presentato ieri a Montecitorio torna a puntare il dito sull’assistenza, vera variabile fuori controllo del nostro Welfare con una spesa salita nel 2019 a 114,27 miliardi. Dal 2008 - è stato fatto notare - l’incremento strutturale è stato di oltre 41 miliardi, con un tasso di crescita annuo oltre il 4% e di 3 volte superiore all’incremento della spesa per pensioni. «È quasi assurdo pensare che in un Paese del G7 come l’Italia – ha affermato Brambilla – quasi il 50% di pensionati non sia stato in grado di versare neppure 15/17 anni di contributi regolari e debba quindi essere assistita dallo Stato, ed è allora importante che la politica rifletta su questi numeri. Innanzitutto, perché non sembrano rispecchiare le reali condizioni socio-economiche del Paese e, in secondo luogo, perché non va dimenticato che, a differenza delle pensioni finanziate da imposte e contributi, queste prestazioni gravano per 25,77 miliardi sulla fiscalità generale e non sono neppure soggette a imposizione fiscale».

La ricetta per migliorare passa per un forte monitoraggio sulla spesa assistenziale, mentre per la previdenza sono state indicate soluzioni per uscire, nell’arco dei prossimi dieci anni, dal lungo ciclo degli interventi sperimentali. Con Quota 100 che si fermerà sicuramente a fine anno, come avrebbe già detto Mario Draghi alla sua vasta maggioranza, il “dopo” indicato da Brambilla e il suo staff tecnico corre su un mix di proposte.

Innanzitutto si punta sull’equiparazione per tutti i lavoratori delle regole previste per chi è entrato nel mercato dal 1996, con un’integrazione al minimo su valori pari alla maggiorazione sociale e calcolati sulla base degli anni di contribuzione. Occorre poi mantenere la pensione di vecchiaia con 67 anni adeguata all’aspettativa di vita e almeno 20 di contribuzione. “Quota 100”, Ape social, Opzione donna e anticipi per i precoci possono essere sostituiti dai fondi esubero che sono già operativi per le banche e assicurazioni e sono a costo zero per lo Stato. Inoltre è necessario reintrodurre la flessibilità in uscita alla base della riforma Dini, consentendo un pensionamento flessibile con, ad esempio, 64 di età anagrafica (adeguata alla aspettativa di vita), con almeno 38 anni di contributi (“Quota 102”) di cui non più di 2 anni figurativi (esclusi dal computo maternità, servizio militare, riscatti volontari) al fine di premiare/incentivare il lavoro e non gli anni di permanenza nel sistema, rendendo stabile la pensione anticipata con circa 42 anni e 10 mesi per gli uomini (1 anno in meno per le donne) svincolata dall’aspettativa di vita ed eliminando qualsiasi divieto di cumulo. Si potrebbero inoltre prevedere anticipi per le donne madri (8 mesi per ogni figlio con un massimo di 24 mesi) e per i precoci ogni anno di lavoro prima dei 19 anni dovrebbe valere 1,25 anni. Infine, si dovrebbe reintrodurre l’indicizzazione delle pensioni all’inflazione ormai rinviata nell’ultimo decennio, nella misura del 100% fino a tre volte il minimo, 90% da tre a cinque volte il minimo e 75% oltre cinque volte la prestazione minima sulla quota di pensione “retributiva”. Mentre per quella contributiva l’indicizzazione dovrebbe essere pari al 100% eliminando l’iniquo taglio delle pensioni alte. Se si fosse proceduto con una riforma definitiva i numeri dei “salvaguardati” e i costi sarebbero stati inferiori ma soprattutto si sarebbe fatta più equità intergenerazionale.

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