Previdenza

I protocolli anti-Covid sono aperti ad aggiornamenti

di Massimiliano Arlati e Luca Barbieri

Il recepimento della direttiva Ue 2020/739 del 3 giugno 2020, che annovera la sindrome respiratoria acuta grave da Coronavirus (Sar-Cov-2) tra gli agenti biologici già disciplinati dalla direttiva 2000/54/Ce del 18 settembre 2000 sulla protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti per la salute dall’esposizione ad agenti biologici durante il lavoro e di prevenzione di tali rischi (articolo 13-sexiesdecies del Dl 137/2020), ha contribuito a operare un più disteso raccordo tra la disciplina emergenziale e il Dlgs 81/2008, superando le incertezze che hanno caratterizzato in questo senso la prima fase della crisi sanitaria.

Nel complesso impianto normativo, una funzione “portante” (e propulsiva) è attribuita al Protocollo del 24 aprile 2020, dal quale non è possibile prescindere in sede di valutazione dei rischi e di programmazione delle misure opportune per garantire il miglioramento nel tempo del livello di protezione (articolo 28, commi 1 e 2, lettera c) del Dlgs 81/2008). Il riferimento è qui da intendersi rivolto a una prescrizione d’esordio dello stesso Protocollo: «le imprese adottano il presente protocollo di regolamentazione all’interno dei propri luoghi di lavoro (...) e applicano le ulteriori misure di precauzione di seguito elencate – da integrare con altre equivalenti o più incisive secondo le peculiarità della propria organizzazione».

È questa una disposizione che, sebbene non sia sempre portata in chiara luce, assume un decisivo rilievo, perché, prescrivendo l’eventuale adozione di misure equivalenti o più incisive, assicura l’essenziale dinamicità ai protocolli sanitari aziendali, in perfetto allineamento con gli articoli 2087 del Codice civile e 29, comma 3 del Dlgs 81/2008.

Si consideri il caso del rischio di contagio tramite soggetti asintomatici e pre-sintomatici, ovvero il caso della trasferta di un lavoratore.

Le conoscenze scientifiche a oggi acquisite evidenziano che i soggetti asintomatici e pre-sintomatici – cioè coloro che hanno già contratto il virus, ma non manifestano ancora alcun sintomo - costituiscono una fonte di rischio di contagio rilevante, che però non può essere contrastato applicando le sole misure di prevenzione espressamente individuate dal paragrafo 2 del Protocollo, in sostanza riconducibili al rilevamento della temperatura corporea.

Se il datore di lavoro è chiamato ad adempiere all’obbligo di sicurezza recependo gli avanzamenti acquisiti della scienza e della tecnica, non potrà non essere valutata l’eventualità di adottare misure equivalenti o più incisive che, nell’ipotesi del rischio rappresentato da soggetti asintomatici o pre-sintomatici, potrebbero consistere nel ricorso a test antigenici. Questi test, secondo i più recenti orientamenti espressi dal ministero della Salute con la circolare dell’8 gennaio 2021, costituiscono - almeno al momento - una soluzione che non può essere trascurata in sede di valutazione dei rischi.

Quando le indagini diagnostiche fossero programmate secondo opportune modalità e cadenze concordate con il medico competente, il rischio di contagio potrebbe essere contenuto nel modo a oggi più efficace.

Analogamente potrebbe dirsi con riguardo al rischio interferenziale di contagio rilevato in occasione di una trasferta (o distacco) di un lavoratore dell’appaltatore presso il committente (articolo 26 del Dlgs 81/2008). Nel caso specifico, l’accertamento preventivo dello stato di salute del lavoratore tramite il test antigenico potrebbe costituire una condizione essenziale ai fini della trasferta ed essere espressamente contemplato nel documento di valutazione dei rischi da interferenze.

Anche nel caso di ricorso a un test antigenico non può essere eluso il delicato tema dell’adesione del lavoratore all’indagine. Quali misure potrebbe adottare il datore di lavoro nel caso che il lavoratore non intenda partecipare all’attività di testing e screening, pregiudicando l’efficacia delle misure di prevenzione adottate? Quando non sia possibile ricorrere al lavoro agile, il datore di lavoro potrebbe trovarsi nell’impossibilità (temporanea) di ammettere in servizio il lavoratore che non abbia inteso sottoporsi al trattamento sanitario previsto dal protocollo aziendale, in base alle prescrizioni del medico competente.

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