Previdenza

Infortunio Covid per chi non si è voluto vaccinare, Inail attende i Ministeri

di Luca Failla e Mauro Pizzin

Sull’applicabilità del trattamento infortunistico ai lavoratori che hanno contratto il virus da Covid-19 dopo avere rifiutato il trattamento vaccinale, l’Inail chiederà i pareri ai ministeri del Lavoro e della Salute. Nell’attesa – come evidenziato in una nota diramata ieri alle sue sedi territoriali – l’Istituto avvierà apposite istruttorie in tutti le ipotesi di contagio occorsi ai lavoratori, conformemente alle prassi seguite fino a oggi e messa nero su bianco in una serie di circolari pubblicate nel corso del 2020, per valutare se il virus sia stato contratto in occasione della prestazione lavorativa e se l’evento lesivo debba essere qualificato come infortunio sul lavoro o meno.

In caso positivo, l’Istituto dovrà dunque riconoscere agli interessati il trattamento per infortunio, salvo valutare la possibilità di rivalersi sui datori di lavoro qualora questi ultimi non abbiano rispettato le misure precauzionali previste dai vari protocolli condivisi con le parti sociali.

Una pratica che l’Inail, ora come ora, non può non seguire anche qualora il virus sia stato contratto da coloro che, in precedenza, abbiano rifiutato di sottoporsi al trattamento vaccinale.

Con queste indicazioni l’istituto assicurativo ha voluto mettere la sordina alle polemiche scaturite dopo la notizia apparsa sui giornali secondo cui l’Inail sarebbe intenzionata a non garantire la copertura assicurativa a una quindicina di infermieri “no vax” del San Martino di Genova, per i quali la direzione ospedaliera aveva chiesto di chiarire se andasse riconosciuto il trattamento infortunistico, ovvero la copertura per malattia, considerato il precedente rifiuto opposto dai medesimi a sottoporsi al trattamento vaccinale.

L’argomento resta delicato perché l’Italia è attualmente orientata nel non imporre per legge il trattamento vaccinale anti Covid-19 neppure nei riguardi dei lavoratori particolarmente esposti al virus in ragione delle mansioni svolte e delle attività rese nei locali aziendali, nonché a contatto con potenziali soggetti deboli, come ad esempio gli operatori sanitari, categoria da cui proviene (in base ai dati censiti fino a gennaio) quasi il 40% delle 146mila denunce di infortunio per coronavirus presentate all’Inail. Un fattore di rischio di contagio così alto, quello rilevato per queste categorie, da indurre il Governo a prevedere per esse una corsia prioritaria per l’accesso ai vaccini e l’Istituto a stabilire una presunzione semplice di infortunio sul lavoro, configurando per costoro una ipotesi di rischio specifico, vista l’elevata probabilità di contrarre il virus.

In questo contesto di non obbligatorietà del vaccino appare complicato, quindi, configurare da parte/a carico dei lavoratori interessati l’assunzione di quel rischio elettivo che in circostanze normali porta alla perdita della copertura Inail. L’intenzione dell’Istituto, come detto, è quindi quello di coinvolgere nell’ambito dell’istruttoria Lavoro e Salute, auspicando che il nuovo Governo possa a breve intervenire per sbrogliare la matassa.

Ostativo al mancato riconoscimento dell’infortunio pare essere l’articolo 42 del Dl n. 18/2020 poi convertito in legge 27/2020, laddove la copertura assicurativa da parte dell’Istituto non è in alcun modo condizionata a comportamenti diligenti ovvero collaborativi da parte dei lavoratori interessati.

A ragionare diversamente bisognerebbe ritenere che la revoca della copertura da parte dell’Inail possa seguire a comportamenti “abnormi” da parte del lavoratore che si pone volontariamente (cosiddetto rischio elettivo) in una situazione di pericolo consapevole da contagio Covid 19 (ad esempio, laddove fosse dimostrato che sono stati tenuti comportamenti anche extralavorativi pericolosi e in violazione delle norme anti Covid 19 così da favorire poi il contagio e cioè il rischio assicurato).

Secondo chi scrive, al contrario, il rifiuto del vaccino non pare possa essere considerato ostativo al godimento della tutela assicurativa prevista dall’articolo 42 del Dl n. 18/2020 solo per il fatto di aver contratto il virus a differenza dei suoi colleghi vaccinati qualora quel dipendente continuasse a usare tutte le misure precauzionali previste dai Protocolli nei luoghi di lavoro (mascherine, guanti, distanziamento ecc.) che ancora oggi non prevedono l’obbligatorietà del vaccino.

Problematica, questa, che appare ancor più delicata, e foriera di non poche perplessità, laddove si consideri che l’assenza di un obbligo di legge a somministrare il vaccino al personale dipendente (espressamente richiesto dall’articolo 32 della Costituzione) sembra oggi anche impedire l’assunzione di qualsivoglia iniziativa disciplinare datoriale a danno dei dipendenti renitenti, senza però escludere al contempo eventuali responsabilità (sul piano civile e penale) nei confronti dei datori che non adottino le misure necessarie a tutelare la integrità fisica e morale del proprio personale.

Iniziative disciplinari, peraltro, che sembrerebbero attualmente ancor più osteggiate dall’orientamento espresso dal Garante Privacy il 17 febbraio scorso (nelle Faq pubblicate sul suo sito), che impedisce ai datori di individuare i dipendenti che rifiutano il trattamento vaccinale, demandando al solo medico competente il giudizio di inidoneità professionale alla mansione. A tale riguardo, e diversamente dall’Inail, il rifiuto del vaccino offerto dall’azienda da parte del dipendente potrebbe semmai far venir meno, ovvero ridurre, l’ipotetica responsabilità dell’impresa ex articolo 2087 del Codice civile verso il lavoratore poi contagiatosi sul lavoro.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©