Previdenza

Politiche attive al test parti sociali

di Giorgio Pogliotti, Claudio Tucci

Entra nel vivo la trattativa sulla prima riforma targata Pnrr del capitolo lavoro, ovvero il decollo delle politiche attive. Il maxi progetto su cui sono impegnati il ministro del Lavoro, Andrea Orlando e il commissario di Anpal, Raffaele Tangorra, sarà discusso mercoledì pomeriggio con le parti sociali; in attesa anche degli incontri con le regioni e le Agenzie per il lavoro.

Lo strumento, tutto da costruire, con cui l’Italia proverà a far partire le politiche attive si chiama Gol, Garanzia di occupabilità dei lavoratori, che può contare su 4,9 miliardi complessivi. Gli obiettivi, piuttosto ambiziosi, sono quelli concordati con l’Europa: almeno 3 milioni di “beneficiari” entro il 2025. Di questi almeno, il 75% devono essere donne, disoccupati di lunga durata, persone con disabilità, giovani under30, lavoratori over55. Almeno 800mila dovranno essere coinvolti in attività di formazione, di cui 300mila per il rafforzamento delle competenze digitali.

Secondo le 28 slides che sintetizzano il progetto la strategia del governo è quella di personalizzare gli interventi e differenziare le platee (su cui intervenire). Potranno beneficiare di Gol i lavoratori in cig (nella bozza di riforma degli ammortizzatori targata Orlando si citano espressamente gli addetti in Cigs per prospettata cessazione, in Cigs per accordo di ricollocazione, i lavoratori autonomi con partita Iva chiusa). Ma saranno ammessi a Gol anche i beneficiari di Naspi e Dis-coll, del reddito di cittadinanza, i lavoratori fragili o vulnerabili (Neet, disabili, donne in condizioni di svantaggio, over55), i disoccupati senza sostegno al reddito, i cosiddetti working poor.

In base allo status occupazionale, si prevedono cinque percorsi per il lavoro. Per coloro che sono più facilmente occupabili, si parla di “reinserimento lavorativo”. Il secondo percorso “di aggiornamento” (upskilling), prevede interventi formativi di breve durata e dal contenuto professionalizzante per adeguare le competenze. Per chi è più distante dal lavoro c’è il percorso di “riqualificazione” (reskilling), con una più robusta attività di formazione. Per i bisogni complessi, va attivata la rete dei servizi territoriali, come già avviene per il reddito di cittadinanza, con un percorso di “lavoro e inclusione”, coinvolgendo servizi del territorio, educativi, sociali, sanitari, di conciliazione. Il quinto percorso è “di ricollocazione collettiva”, e sarà specifico per le situazioni di crisi aziendali.

In linea generale, i beneficiari di prestazioni di sostegno al reddito dovranno accedere ai servizi dei centri per l’impiego entro 4 mesi dall’avvio della prestazione; e si ragiona su interventi personalizzati (per chi dovrà essere riqualificato si ipotizzano almeno 300 ore di formazione). Gol dovrà essere pronto nel quarto trimestre, dunque entro dicembre 2021. «La questione tempo è cruciale - sottolinea Lucia Valente, ordinario di diritto del Lavoro alla Sapienza di Roma -. Per attuare il progetto è indispensabile realizzare subito una governance unica e centralizzata e un sistema informativo unico Anpal-Inps, integrato con i sistemi informativi regionali. Lo Stato dovrà agire, in sussidiarietà, nei confronti dei territori che sono più indietro, e occorre coinvolgere le agenzie private».

La riforma si incrocia, dunque, con le correzioni annunciate dal ministro Orlando al reddito di cittadinanza che ha fallito proprio sul fronte delle politiche attive. Con il 72% dei percettori che ha al massimo un titolo di istruzione secondario, molti beneficiari del Rdc potranno avere bisogno di completare il percorso di studi, o di formazione per poter avere maggiori chance di occupabilità. Tra le proposte allo studio della commissione presieduta dalla sociologa Chiara Saraceno ci sono correzioni alla scala di equivalenza per non penalizzare le famiglie numerose con figli minorenni rispetto ai single, si pensa di rivedere il peso dell’affitto sull’integrazione al reddito tenendo conto delle diversità territoriali (per non danneggiare i residenti nelle grandi città del Nord e del Centro), di ridurre, se non dimezzare, il requisito della residenza in Italia per 10 anni. Si valuta anche di superare per le famiglie con minori lo stop di 1 mese previsto dopo 18 mesi di Rdc.

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