Adempimenti

Intervento del Fondo di garanzia e previsione di insufficiente realizzo

di Silvano Imbriaci

Una delle questioni più spinose in materia di Fondo di garanzia (a tutela dei crediti retributivi e per TFR) riguarda i presupposti per l'intervento del Fondo, e in particolare la dimostrazione della insufficienza delle garanzie patrimoniali del datore di lavoro (art. 1, quinto comma, legge n. 297/1982), tema questo che si intreccia inevitabilmente con la necessità che il credito del lavoratore sia in qualche modo oggetto di una verifica e di un accertamento giudiziale. In alcuni casi, dovendo stabilire l'assoggettabilità del datore di lavoro alle procedure concorsuali, la prassi dell'Inps, dietro le puntuali indicazioni giurisprudenziali, ha ammesso la tutela a fronte di una valutazione in concreto, con conseguente applicazione dell'art. 2, comma 5 della legge n. 297/1982 e previa dimostrazione dell'esperimento infruttuoso delle procedure di esecuzione individuale e di assenza di ulteriori beni aggredibili (cfr. Cass. n. 15369/2014 e Cass. n. 7585/2011; cfr. anche Cass. n. 15662/2010; Cass. n. 1178/2009; circolare n. 32/2010): la cancellazione e/o cessazione dell'attività di attività d'impresa da oltre 1 anno (art. 10 l.f.); il decesso dell'imprenditore (art. 11 l.f.); l'inesistenza dei presupposti di cui all'art. 1, comma 2 l.f.; l'esiguità del credito complessivo risultante dall'istruttoria prefallimentare (art. 15 l.f.).

Il caso specificamente affrontato dal messaggio n. 1646/17 riguarda la c.d. previsione di insufficiente realizzo (art. 102 l.f.), quando il Tribunale, ancora prima dell'udienza per l'esame dello stato passivo, su istanza documentata del Curatore, dispone con decreto non farsi luogo al procedimento di accertamento del passivo relativamente ai crediti concorsuali, se risulta che non può essere acquisito attivo da distribuire ad alcuno dei creditori che abbiano chiesto l'ammissione al passivo. Si tratta dei casi in cui il Tribunale abbia superato il vaglio della fallibilità, ma non ritenga di procedere oltre per motivi di sostanziale economia processuale. La mancanza di un accertamento del passivo può comportare alcuni problemi da risolvere nel procedimento di ammissione del credito del lavoratore alla tutela del Fondo: infatti, in generale, l'avvenuta ammissione del credito allo stato passivo costituisce elemento sufficiente per l'accesso alla tutela del Fondo (cfr. Cass. n. 24231/2015). La circolare n. 32/2010 aveva ammesso l'intervento del Fondo sulla base dell'art. 2, comma 5, a condizione che il credito fosse risultato accertato. Successivamente con il messaggio n. 4302 del giugno 2015, l'INPS era ritornato sul tema, in particolare con riferimento alle ipotesi di società di capitali per le quali l'art. 118 l.f. (comma 2) dispone la cancellazione dal registro delle imprese in caso di chiusura del fallimento per insufficienza dell'attivo. In tal caso, stante l'impossibilità di tentare azioni esecutive nei confronti di un soggetto estinto, l'INPS aveva ritenuto di accettare la dimostrazione dell'insufficienza delle garanzie patrimoniali tramite la produzione del solo decreto di chiusura della procedura concorsuale. Restava ferma comunque, secondo l'INPS, la necessità di provare l'esistenza del credito mediante la consegna dell'originale del titolo esecutivo, posto che l'estinzione della società rendeva di per sé impossibile l'esperimento di azioni esecutive individuali nei suoi confronti, prima di ogni tentativo e dunque senza necessità di ulteriore dimostrazione. Su questo scenario interviene il messaggio n. 1646/2017, che tenta di ovviare ad un ulteriore inconveniente derivante dalla rigida applicazione delle regole dettate dalla prassi amministrativa, nel caso in cui il decreto del Tribunale ex art. 102 l.f. (senza accertamento dello stato passivo) intervenga dopo che il rapporto di lavoro sia continuato anche successivamente all'apertura della procedura concorsuale. In tale particolare situazione, la tutela per il lavoratore risulta di fatto seriamente compromessa, in quanto prima dell'apertura del fallimento il lavoratore non può chiedere l'intervento del Fondo - il rapporto di lavoro non è cessato - mentre dopo l'apertura del fallimento, sul presupposto che il rapporto di lavoro continui anche dopo tale momento, il lavoratore può ottenere l'accertamento del proprio credito solo mediante l'ammissione allo stato passivo. Se questa fase manca, per effetto dell'art. 102 l.f., il lavoratore, in caso di società di capitali, oltre a non poter di fatto conseguire quanto dovuto attraverso l'insinuazione al passivo, non potrà nemmeno tentare l'esecuzione nei confronti del datore di lavoro, in quanto la società di capitali, per quanto disposto dall'art. 118 l.f., non esiste più a seguito dell'automatica cancellazione dal registro delle imprese. Si produce dunque una situazione di stallo, superabile solo o attraverso una interpretazione giurisprudenziale “additiva” rispetto al contenuto della norma, o attraverso un intervento chiarificatore da parte dell'ente che eroga la prestazione. E questo è accaduto con il messaggio in commento, che stabilisce una regola necessaria per superare l'impasse: nel caso di chiusura del fallimento ex art. 102 l.f., il Fondo deve intervenire, anche in assenza di accertamento giudiziale del credito, purché siano avverate le seguenti particolari condizioni quali:
-la natura di società di capitali del datore di lavoro;
-il licenziamento del lavoratore da parte del Curatore
-la presentazione dell'istanza di ammissione al passivo per i crediti di lavoro prima della data del deposito del decreto che dispone non farsi luogo all'accertamento del passivo
In questo caso dunque, l'esigenza di un accertamento del credito in via giudiziale, solitamente soddisfatta mediante il provvedimento di ammissione del credito del lavoratore allo stato passivo, sarà compiuto tenendo conto dei documenti dimostranti il diritto, allegati all'istanza di ammissione al passivo e dei dati ricavabili dalle banche dati dell'Istituto e dagli EMens (denunce mensili contributive) inviati dal datore di lavoro, oltre che dalle dichiarazioni fiscali presentate all'Agenzia delle Entrate. In altri termini, l'Istituto, solo in queste particolari evenienze, lascia che l'accertamento del credito del lavoratore sia effettuato non in via giudiziale (ammissione al passivo) ma attraverso la documentazione di supporto ricavabile in assenza di un titolo di formazione giudiziale che dimostri la sussistenza del credito. Solo per questo motivo, trattandosi di un'ipotesi del tutto eccezionale, l'Istituto ha cura di precisare che non saranno comunque prese in considerazione le richieste relative a crediti retributivi fondati sulla riqualificazione del rapporto di lavoro (da autonomo a subordinato), oppure su un diverso inquadramento contrattuale o che presuppongano il riconoscimento di un rapporto di lavoro non dichiarato (emersione). Si tratta di tutte quelle ipotesi in cui l'INPS ritiene che l'emersione del credito retributivo non possa prescindere (anche per gli effetti contributivi e previdenziali che ne sono collegati, primo fra tutti l'automatismo) da una verifica giudiziale, sia pure compiuta in sede fallimentare (dove il più delle volte i documenti esaminati sono quelli che l'Istituto ritiene idonei in via amministrativa nel caso previsto dal messaggio in questione).

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