Adempimenti

Calderone: «La priorità è favorire l’occupazione dei giovani»

di Matteo Prioschi

A fronte dell’impatto delle nuove tecnologie che determinerà nel corso del tempo la perdita di posti di lavoro ma anche la nascita di nuove figure professionali, secondo Marina Calderone , presidente del consiglio nazionale dell’Ordine dei consulenti del lavoro , «ci deve essere un approccio globale alle tematiche occupazionali, non è sufficiente una buona normazione in tema di lavoro, ma serve anche un contesto economico favorevole, non si può prescindere dallo sviluppo territoriale che offra nuove opportunità».

Il lavoro 4.0 e le sue trasformazioni sulla società sono il filo conduttore dell’ottava edizione del Festival del lavoro, la manifestazione organizzata dal Consiglio nazionale e dalla Fondazione studi dei consulenti che si svolgerà da domani a sabato a Torino. Tre giorni di dibattiti e approfondimenti in cui si cercherà di definire la “ricetta” per l’occupazione di domani.

Quando si parla di favorire la ripresa dell’occupazione, in passato come oggi si ipotizza di agire sugli sgravi contributivi, il cuneo fiscale, la flessibilità di accesso alla pensione. A quale di questi o altri “ingredienti” si dovrebbe dare maggior peso?

Tutto passa da una riduzione del costo del lavoro, che non vuol dire ridurre le tutele ma rivedere la tassazione a livello strutturale e l’imposizione sui redditi da lavoro dipendente; vanno ripensate le modalità di tassazione. Preferirei però non più interventi spot ma forme di tassazione e di riduzione strutturale del cuneo fiscale e contributivo (che è enorme) per tutti i lavoratori. Le imprese hanno una maggior propensione a stabilizzare i rapporti di lavoro se questo costa meno. Inoltre, dato che c’è necessità di adeguarsi velocemente al cambiamento, le risorse liberate dalla riduzione del cuneo fiscale possono essere utilizzate per formare e riqualificare i lavoratori.

Dobbiamo anche rinsaldare il patto generazionale e accompagnare alla pensione i lavoratori che hanno la possibilità di usufruire di anticipazioni dell’uscita, ma le difficoltà incontrate nell’attuazione dell’Ape volontario ci dovrebbero dire che tutto questo ha un costo che talvolta non è sostenibile per aziende e lavoratori.

A proposito di «buona normazione», sono passati due anni dal Jobs act. Che valutazione si può dare della riforma?

Una valutazione positiva nel senso che ha ridefinito il quadro, ha eliminato la frammentazione normativa che c’era. Ma la parte più importante è la scommessa sulle politiche attive, che passa da un cambio di mentalità degli italiani, perché dall’assistenzialismo si va alla riqualificazione e alla ricollocazione. Una sfida che impegna per primi associazioni datoriali, sindacati e organizzazioni dei professionisti.

Però dopo due anni le politiche attive segnano il passo.

Non ci si deve dimenticare che su questi temi dobbiamo fare i conti con misure statali ma anche con le competenze regionali. Occorre sciogliere il nodo delle competenze, che non vuol dire sottrarre alle Regioni ma redistribuire valorizzando le specificità. Semplificare significa dare le stesse possibilità ai cittadini e non subire discriminazioni in base al territorio in cui si vive.

Il lavoro cambia anche per i consulenti del lavoro. Di questi tempi l’attenzione è puntata sull’equo compenso, sull’abusivismo e la concorrenza sleale. Quali le sfide che attendono la categoria?

Le sfide su questi temi sono molto affini a quelle di altre categorie professionali. C’è chi con la leva del prezzo e della quantità cerca di sostituire la prestazione professionale con forme di concorrenza sempre più sofisticate e strutturate che impoveriscono anche il mercato dei giovani professionisti, per i quali cresce il rischio di abbandono nei primi cinque anni. Noi crediamo invece che le professioni siano un’attrattiva per i giovani, un’opportunità da offrire ai ragazzi.

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