L'esperto rispondeAdempimenti

Retribuzione e contribuzione

di Germano De Sanctis

La domanda

Una azienda multinazionale, al fine di stimolare investimenti per processo/prodotto ha sottoscritto un accordo aziendale per affievolire il costo del lavoro aziendale. Gli operai hanno rinunciato per tre anni a maggiorazioni aggiuntive a quelle previste dal ccnl e gli impiegati a parte del superminimo individuale pari al valore delle maggiorazioni tagliate. In nessun caso il lavoratore è sceso sotto i minimi contrattuali ma anzi tutti conservano un trattamento di miglior favore. L'inps ha richiesto con verbale ispettivo il pagamento dei contributi sulle retribuzioni rinunciate dai lavoratori in quanto, a loro avviso, le rinunce alle retribuzioni quandanche esulanti il ccnl, non comportano una corrispondente riduzione della contribuzione dovuta.

Qualora il lavoratore rinunci al versamento dei contributi, si può delineare una duplice ed alternativa situazione: • se la rinuncia ha ad oggetto i contributi, il lavoratore non può disporne in quanto il titolare della posizione attiva creditoria è l’istituto assicuratore ed il relativo atto abdicativo non produce alcun effetto; • se, invece, il lavoratore dispone della sua posizione previdenziale, non essendosi ancora verificati i presupposti per l’acquisizione della prestazione, nondimeno la rinuncia non produce effetti in quanto avente ad oggetto un diritto futuro. Infatti, il diritto attuale, di cui astrattamente si potrebbe disporre è quello al versamento dei contributi. Tuttavia, la titolarità di tale diritto è dell’istituto assicuratore. Invece, il lavoratore interessato è titolare del diritto alla acquisizione della prestazione previdenziale, di cui, pur avendone la titolarità, non può disporre, in quanto, essendo un diritto non ancora esistente, la rinuncia avrebbe ad oggetto un diritto futuro. Per la precisione, il lavoratore interessato può disporre, nella transazione oggetto dell’accordo aziendale, del diritto al risarcimento del danno ex art. 2116, comma 2, c.c., solo quando non sia più possibile il versamento dei contributi (ad es., perché prescritti) e subisca un nocumento dalla omissione contributiva. Però, ciò non significa che il lavoratore medesimo possa disporre della obbligazione contributiva gravante sul datore di lavoro, non solo perché, come detto, il soggetto attivo del relativo rapporto è l’Istituto assicuratore, ma anche poiché una tale posizione è espressamente dichiarata indisponibile dalla legge (cfr., Cass. Sez. Lav., 19.1.1985, n. 163). Uscendo dalla specificità dell’art. 2116, comma 2, c.c. e riguardando il problema dall’angolo di visuale più ampia dell’art. 2113 c.c., si evidenzia che sono sottratte dal regime dell’impugnabilità di quest’ultima norma e possono essere considerate affette da nullità assoluta tutte quelle rinunce connotate essenzialmente dalla mancanza originaria della causa, in quanto aventi ad oggetto diritti che, non ancora entrati nel patrimonio dei disponenti, sono connotati da una essenziale incertezza in quanto all’ “an” perché diritti di potenziale e futura acquisizione. In estrema sintesi, applicando tale principio, l’art. 2113 c.c. dovrebbe disciplinare il fenomeno della rinuncia ai diritti già maturati e non quello della rinuncia preventiva ad un diritto futuro, benché sorretto da aspettative legate al meccanismo della formazione progressiva, dovendosi ritenere, in tal caso, la clausola del contratto individuale affetta da nullità assoluta ex art. 1419, comma 2, c.c. per difetto genetico di uno dei suoi requisiti essenziali (cfr., Cass. 8.8.1987, n. 6823; Cass. 4.4.1987, n. 3297; Cass. 11.3.1983, n. 1846). Nello specifico, la giurisprudenza ha sostenuto che la rinuncia del lavoratore subordinato a diritti futuri ed eventuali (cioè, il risarcimento del danno da omissione contributiva) è radicalmente nulla ai sensi dell’art. 1418 c.c. e non annullabile previa impugnazione da proporsi nel termine di cui all'art. 2113 c.c., riferendosi tale ultima norma ad atti dispositivi di diritti già acquisiti e non ad una rinuncia preventiva, come tale incidente sul momento genetico dei suddetti diritti (cfr., Cass. 14.12.1998, n. 12548). Venendo al caso di specie, l’accordo aziendale transattivo oggetto del quesito, siccome concerne diritti dei lavoratori derivanti da disposizioni inderogabili di legge, è, per ciò solo, sottratto alla previsione di validità/invalidità di cui all’art. 2113 c.c.. Sotto il profilo previdenziale, la soluzione sarebbe ancora più radicale per la evidente autonomia tra il rapporto di lavoro ed il rapporto giuridico previdenziale. Infatti, il negozio transattivo tra il datore di lavoro ed i lavoratori non pregiudica il credito contributivo dell’INPS, in virtù dell’autonomia del rapporto previdenziale, rispetto al quale la transazione non assume alcuna influenza. Ma vi è di più. L’art. 2115, comma 3, c.c. dispone la nullità dei patti diretti ad eludere gli obblighi relativi alla previdenza o all’assistenza. La regola che tale norma sottende è quella della non negoziabilità dei diritti previdenziali, neanche di quelli prescritti. Semmai può essere oggetto di disposizioni convenzionale il diritto al risarcimento del danno ex art. 2116, comma 2, c.c. per omesso o irregolare versamento dei contributi, ma non l’obbligo di corrispondere all’istituto assicuratore i contributi previdenziali. La previsione dell’art. 2116, comma 3, c.c. non è applicabile qualora le parti abbiano inteso transigere non già su eventuali obblighi del datore di lavoro di corrispondere all’INPS i contributi assicurativi, bensì sul danno subito dal lavoratore per l’irregolare versamento dei contributi stessi (cfr., Cass., 21 novembre 1984, n. 5977). In conclusione, l’accordo transattivo oggetto intervenuto tra i lavoratori ed il datore di lavoro è estranea al rapporto tra quest’ultimo e l’INPS, avente ad oggetto il credito contributivo derivante dalla legge in relazione all’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, poiché deve essere posta alla base del credito dell’ente previdenziale la retribuzione dovuta e non quella effettivamente corrisposta, in quanto l’obbligo contributivo del datore di lavoro sussiste indipendentemente dal fatto che siano stati in tutto o in parte soddisfatti gli obblighi retributivi nei confronti dei lavoratori interessati, ovvero che costoro abbiano rinunziato ai loro diritti (cfr., Cass., Sez. Lav., 3.3.2003, n. 3122). In ultimo, si tiene a ricordare che tutta la giurisprudenza citata è solo una applicazione concreta della tutela costituzionale garantita dall’art. 38 Cost., il quale garantisce l’effettività della posizione previdenziale, con la conseguenza che la normativa che ne consegue assume carattere inderogabile.

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