Adempimenti

L’opzione per la trasparenza fiscale va valutata anche in base alle possibili pretese Inps

di Antonio Carlo Scacco

Capita frequentemente che, ai soci titolari di quote sociali di srl che non prestano attività lavorativa all'interno della società, l'INPS richieda il pagamento di contributi pregressi, o addirittura, contestando la mancata contribuzione, sospenda i trattamenti pensionistici in corso. La estensione ai soci di srl dell'obbligo di iscrizione nella gestione previdenziale commercianti/artigiani deriva dal comma 203 dell'articolo 1 della legge 662/1996, il quale, nell'escludere espressamente per tali soggetti la necessità del requisito della piena responsabilità dell'impresa e della assunzione di tutti gli oneri ed i rischi relativi alla sua gestione (lett b) co. 1 articolo 29 della legge 160/1975), li ha indirettamente assoggettati all'obbligo di iscrizione. Resta tuttavia fermo l'altro requisito previsto dalla lettera c) secondo il quale, per la obbligatorietà della iscrizione nella gestione previdenziale, è necessaria la partecipazione personale al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza. Nel frattempo, tuttavia, è intervenuto l'articolo 3-bis del decreto legge 384/1992, il quale al comma 1 stabilisce che “a decorrere dall'anno 1993, l'ammontare del contributo annuo dovuto […], è rapportato alla totalità dei redditi d'impresa denunciati ai fini IRPEF per l'anno al quale i contributi stessi si riferiscono.”. Dalla espressione onnicomprensiva della norma (“totalità dei redditi di impresa”) l'Istituto previdenziale ha pertanto ritenuto di poter includere nell'imponibile contributivo dei singoli soci i redditi provenienti dalla partecipazione in società di capitali (srl), anche in mancanza del criterio della abitualità e prevalenza del lavoro prestato dal socio. In buona sostanza l'INPS, incrociando i dati con quelli delle Entrate, assume il dato del reddito della srl (rigo RN1 del modello Redditi Società di Capitali) e lo riproporziona alla quota di partecipazione del socio per ottenere il reddito imponibile da assoggettare a contribuzione. Questa insolita prassi dell'INPS ha già ricevuto censure da parte di alcune notorie sentenze di merito (Corte d'Appello L'Aquila 774 e 752 del 2015, Tribunale di Pescara 639/2014). Tali sentenze, peraltro, hanno fondato la loro vis argomentativa essenzialmente sulla differenza esistente tra i redditi di impresa ed i redditi derivanti da mera partecipazione in società di capitali, ossia i redditi di capitale. E' sufficiente uno sguardo all'articolo 6 del TUIR per accorgersi che la categorizzazione di tali redditi è nettamente differenziata. Oltre a ciò in tutte le sentenze citate assume rilievo il riferimento alla sentenza Corte Costituzionale 354/2001 che, investita della legittimità costituzionale del citato articolo 3-bis del decreto legge 384/1992, ebbe a rimarcare nettamente la differenza esistente tra il reddito conseguito dal socio di società di persone (reddito di impresa ex articolo 5 TUIR) ed il reddito di partecipazione del socio di società di capitali (redditi di capitale), anche in funzione dell'elemento personale (tipico delle società a base personale) “quale legame tra più persone in vista dello svolgimento di una attività produttiva”. Ma l'aver fondato le argomentazioni che escludono la pretesa impositiva dell'INPS sulla differenziazione tra reddito di impresa e reddito di capitale e non sulla mancanza del requisito della abitualità e prevalenza del lavoro prestato personalmente dal socio nella società (la citata lett c) co. 1 articolo 29 della legge 160/1975) può, in alcuni casi, condurre a delle sorprese. Il riferimento è al regime della cd. piccola trasparenza fiscale (articolo 116 TUIR). L'istituto della trasparenza fiscale consente alle società di capitali di trasferire l'imposizione del reddito d'impresa sui soci, in proporzione alle rispettive quote di partecipazione, indipendentemente dall'effettiva percezione dei corrispondenti utili. La piccola trasparenza fiscale., in particolare, riguarda anche le piccole srl a ristretta base proprietaria (un massimo di 10 soci elevato a 20 nelle srl di tipo cooperativo). La legge delega che ha introdotto la piccola trasparenza fiscale (art. 4 co. 1 lett h) legge 80/2003) prevedeva che attraverso tale intervento normativo si garantisse l'“equiparazione ai fini delle imposte dirette della società a responsabilità limitata che esercita l'opzione ad una società di persone”. Nelle società di persone, il reddito si determina in capo alla società ed il reddito così determinato viene imputato ai soci. Il principio, anche in mancanza di una espressione previsione legislativa, pare mutuabile alle società di capitali. Ne consegue che il reddito imputato per trasparenza conserva la stessa natura del reddito prodotto dalla società (la base imponibile IRES della srl è costituita dal reddito d'impresa determinato con le regole contenute negli artt. 81-116 del TUIR). Ma una volta esercitata l'opzione l'obbligo impositivo della partecipata si trasferisce al socio persona fisica, scontando le aliquote previste nell'ambito della tassazione IRPEF del socio. In tale contesto sarebbe pienamente rispettata la regola di cui al più volte citato articolo 3-bis del decreto legge 384/1992 che calcola il contributo dovuto alla gestione commercianti/artigiani sulla “totalità dei redditi d'impresa denunciati ai fini IRPEF”.
Le conseguenze non sono da poco. Per valutare la convenienza dell'esercizio della opzione per il regime della piccola trasparenza fiscale (da effettuare nella dichiarazione REDDITI 2018, quadro OP) occorrerà tenere presenti anche queste ulteriori variabili. Sotto il profilo fiscale dal 1 gennaio 2018 tutti i dividendi sono tassati ad aliquota sostitutiva del 26% a prescindere dalla entità della partecipazione del socio e della sua natura qualificata o meno. Pertanto, considerato che la società è tassata con IRES al 24%, la imposizione complessiva, considerata anche la sostituiva al 26% sul dividendo, può risultare molto elevata e quindi l'opzione positiva. Bisogna tuttavia considerare che l'INPS potrebbe, nel caso di aziende commerciali, pretendere (con assai maggiore titolo a nostro parere) l'assoggettamento del reddito alla contribuzione commercianti/artigiani (cosa che peraltro già avviene in assenza del regime di trasparenza), rendendo assai meno appetibile la convenienza della opzione.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©