Adempimenti

L’Irap resta un rebus per professionisti e Pmi

di Giorgio Gavelli

Irap: versare (e dichiarare) o autoesonerarsi? Anche quest’anno professionisti e piccoli imprenditori sono alle prese con il tributo regionale e con il solito dubbio sulla presenza, o meno, degli elementi che fondano quell’autonoma organizzazione che costituisce presupposto fondamentale per la soggettività passiva.

Senza norme di riferimento (nonostante ripetuti tentativi e promesse) e con una prassi oramai datata e superata dalla giurisprudenza di legittimità, sono proprio le sentenze di Cassazione a far da bussola ai comportamenti dei contribuenti. Purtroppo, però, nonostante quella che viene definita “funzione nomofilattica” della Suprema corte, non è facile decidere sui casi concreti.

Le sentenze riguardano sempre casi specifici, da cui è poco opportuno trarre principi universali, senza considerare che vari elementi (come è stata impostato il ricorso da parte del contribuente, come è stato assolto l’onere probatorio, come sono state scritte le decisioni di merito, una possibile diversità di vedute tra giudici della stessa sezione, eccetera) concorrono a crea un mosaico che lascia intravvedere delle scelte di fondo ma che non può costituire la cartina di tornasole tanto attesa dai contribuenti e dai professionisti che li assistono, privi anche della possibilità di presentare interpello (risoluzione 82/E/2016).

Tra i casi più recenti su cui si sono pronunciati i giudici di legittimità ci sono quelli che riguardano i medici (e più in generale i professionisti) che operano in più strutture, i soggetti che si avvalgono di collaboratori, lo svolgimento di incarichi in società esterne o l’affidamento da parte di un autonomo di attività a soggetti terzi (si veda il grafico in pagina).

Le norme

Non hanno il problema Irap i contribuenti che si trovano nel regime dei minimi (o di vantaggio) ed in quello forfettario. Per chi ha le caratteristiche del “minimo”, l’esonero, in linea di principio, vale a prescindere dall’esercizio dell’opzione (circolare 45/E/2008), conclusione che l’Agenzia dovrebbe “aggiornare” nei confronti dei forfettari.

Per chi supera i limiti dei regimi supersemplificati (o incorre in qualche causa di esclusione) non esistono regole specifiche, se non l’articolo 2 del Dlgs 446/1997 che è alla base del contenzioso.

I tentativi

Proprio questa norma è entrata nel dibattito parlamentare nell’ambito dell’esame del Ddl semplificazioni. Nella seduta del 9 aprile scorso, in commissione Finanze alla Camera, è stato proposto un emendamento volta a introdurre (con decorrenza 2020) l’esonero in caso di «lavoratore autonomo con volume d’affari non superiore a 150 mila euro, qualora le spese per personale dipendente, consulenze a terzi e beni strumentali non eccedano complessivamente il 75 per cento dei compensi percepiti, e comunque nell’attività non venga impiegato più di un lavoratore dipendente a tempo pieno ovvero due a tempo parziale».

Al di là delle criticità testuali, non sembra che l’emendamento abbia molte chanche di comparire nel testo finale della legge, così come anni fa venne accantonata dal Governo una proposta assai più articolata che, in estrema sintesi, prevedeva l’esclusione dal tributo regionale in caso di impiego di un addetto con costo massimo di 18mila euro lordi annui, spese per collaborazioni occasionali non superiori ai 5mila euro annui e costo complessivo dei beni strumentali (compresi quelli in leasing, locazione o comodato ma esclusa l’autovettura) non superiore a 20mila euro al lordo degli ammortamenti.

La prassi e le sentenze

I chiarimenti delle Entrate si fermano alla circolare 45/E/2008, citata dalle istruzioni al modello dichiarativo, le quali, oltre all’esonero per minimi e forfettari, ricordano solo il caso dei medici che hanno sottoscritto specifiche convenzioni con le strutture ospedaliere per lo svolgimento della professione all’interno di tali strutture, laddove gli stessi percepiscano per l’attività svolta presso le medesime strutture più del 75 per cento del proprio reddito complessivo (articolo 1, comma 125 legge 208/2015).

Il “pallino” è quindi da anni in mano ai giudici tributari. È evidente, comunque, che una questione di questa portata non può essere lasciata in balia del contenzioso.

La giurisprudenza

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