Adempimenti

Il paradosso delle ritenute calcolate per appalto

di Enzo De Fusco

Una responsabilità fiscale ampia per i committenti che affidano all’esterno le attività. L’articolo 4 del Dl 124/2019 estende le tutele a qualunque esternalizzazione effettuata dal committente e dunque anche ai contratti diversi dall’appalto. Le nuove regole si applicano anche ai committenti “non imprenditori” e dunque agli enti pubblici o a quelli non commerciali.

L'impianto normativo anti frode (cosi lo chiama la relazione illustrativa) contenuto nell’articolo 4 ha fatto molto discutere dalla sua entrata in vigore perché le regole che introduce sono decisamente invasive nel sistema di gestione delle imprese financo a ritenerle impraticabili in talune circostanze. Di fronte alle critiche, condivise anche dall’agenzia delle Entrate, il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, ha promesso di rivedere e migliorare la norma, ritarando l’ambito di applicazione e un emendamento è già stato presentato dal Pd.

Un esempio di criticità è contenuto nel comma 5, il quale obbliga appaltatori e subappaltatori a fornire al committente, tra le altre cose, l’elenco degli addetti che sono stati impiegati nell’appalto, il dettaglio di ore di lavoro prestate da ciascuno, l’ammontare della retribuzione corrisposta collegata all’appalto e le relative ritenute fiscali eseguite nel mese precedente nei confronti del lavoratore, con separata indicazione di quelle relative alla prestazione affidata dal committente.

Qui i problemi sono diversi perché tutto il sistema di pagamento degli stipendi e di calcolo dei relativi oneri è strutturato su una retribuzione cumulativa mensile. Al contrario, l’articolo 4 presuppone che il calcolo della retribuzione e delle relative ritenute sia distinto per appalto. Ciò comporterebbe che vengano adeguati i sistemi informatici utilizzati dagli appaltatori, ma soprattutto vengano adeguate le leggi che regolano il calcolo degli stipendi.

Come fa il committente a verificare la correttezza delle ritenute se la stessa legge stabilisce che l’appaltatore ha l’obbligo di comunicare una retribuzione parziale e riferita al singolo appalto, mentre le ritenute si calcolano sull’intera retribuzione del mese? I committenti non avranno mai gli elementi sufficienti per poter verificare se la provvista ricevuta sia corretta o meno.

Pensando di superare questo limite, il committente, per poter accertare la correttezza della provvista corrisposta dall’appaltatore, dovrà inevitabilmente rielaborare l’intero cedolino paga (tutto questo in 5 giorni) e quindi sarà necessario conoscere non solo la retribuzione, ma anche ogni altra informazione utile e necessaria a svolgere questa attività.

Poi c’è un problema oggettivo la cui soluzione non sembra possibile a norma vigente, secondo cui vanno comunicate le «ritenute fiscali eseguite nel mese precedente nei confronti di detto lavoratore, con separata indicazione di quelle relative alla prestazione affidata dal committente».

Le ritenute sono uniche e riferite alla retribuzione complessiva del mese ed è impossibile determinare quelle puntualmente da imputare al singolo appalto. Questo perché essendo l’Irpef calcolata a scaglioni progressivi, l’importo corretto delle ritenute si conosce solo dopo che è stata cumulata la retribuzione maturata nei diversi appalti nel corso del mese (si pensi al settore pulizie).

Quindi da un lato il legislatore impone il cumulo della retribuzione per calcolare le ritenute e, dall’altro, chiede che le ritenute siano parziali e calcolate su una retribuzione parziale. Come si risolve?

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