Adempimenti

Stesso trattamento anche per le false buste paga

di Laura Ambrosi

Altra ipotesi che potrebbe integrare il grave delitto di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti concerne la corresponsione di somme al lavoratore in misura inferiore rispetto a quanto certificato.

È il caso in cui al lavoratore venga ad esempio corrisposto uno stipendio effettivo di 1.000 euro mensili ma nella certificazione (che verrà poi contabilizzata e utilizzata ai fini della deduzione del costo) è indicato 1.500 euro.

Tale certificazione consente all’imprenditore una indebita deduzione dei costi pari alla differenza tra l’importo certificato e quanto veramente corrisposto al lavoratore.

Gli elementi che caratterizzano questa condotta sembrano integrare proprio il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di falsi documenti. Sono infatti sussistenti tutti gli elementi tipici di questa fattispecie che riguarda chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o l’Iva, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi passivi fittizi.

Non pare ci possano essere dubbi, a questo proposito, che le certificazioni rilasciate ai sostituiti siano «documenti» che hanno rilievo probatorio analogo alle fatture in base alle norme tributarie, come richiesto dall’articolo 1 del Dlgs 74/2000. Il reato poi scatta anche quando sono indicati corrispettivi in misura superiore a quella reale come avviene nell’illecito in esame.

Per completezza va detto che secondo un orientamento abbastanza datato della Suprema Corte (sentenza 36900/2013) a fronte di un rapporto di lavoro esistente, ma con indicazione in busta paga di un differente importo rispetto a quello (inferiore) effettivamente corrisposto, non si configura la fattispecie penale in esame, ma eventualmente l’altro delitto di dichiarazione fraudolenta – mediante altri artifici – connotato, però, da soglie di punibilità.

Tuttavia, più di recente, sempre la Suprema Corte ha ritenuto in via consolidata che la dichiarazione fraudolenta scatti in presenza di falsità del documento sia ideologica sia materiale. Ne consegue che presumibilmente la «falsa busta paga», secondo questo recente orientamento, integri la condotta illecita prevista dall’articolo 2 (dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti). Peraltro, è penalmente rilevante anche la sovrafatturazione qualitativa cioè quando gli importi indicati nel documento siano superiori rispetto a quelli reali: fattispecie abbastanza calzante nel caso di certificazioni con indicazione di somme al lavoratore superiori a quelle effettivamente corrisposte.

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