Adempimenti

Metà del deficit extra a lavoro e ammortizzatori

di Marco Rogari e Gianni Trovati

La radiografia del decretone contenuta nell’allegato tecnico che mette in fila le cifre collegate alle varie misure indica in modo chiaro la natura del provvedimento. Che è nato con l’ambizione di accompagnare il «rilancio» evocato fin dal titolo, ma è stato schiacciato dal peso di un emergenza sociale ed economica che ha finito per assorbirne tutti i margini. Almeno per quel che riguarda l’indebitamento netto, cioè il cuore della manovra che finanzia le spese pubbliche immediate. Con una conseguenza: la maximanovra esaurisce tutti gli spazi di deficit aggiuntivo autorizzati il mese scorso dal Parlamento, cioè 55 miliardi per quest’anno, 24,9 per il prossimo e 32,8 per il 2022: ma non contiene il rifinanziamento da 6 miliardi all’anno per spingere gli investimenti pubblici che pure erano stati al centro delle promesse della vigilia. Anzi: dal testo finale è sparita in extremis anche il piccolo antipasto rappresentato dalla possibilità per gli enti locali di utilizzare in anticipo i 400 milioni annui dedicati dall’ultima legge di bilancio alle piccole opere. Al rilancio degli investimenti dovrà insomma pensare il prossimo decreto, che il premier Conte ha già voluto intitolare a un’ambiziosa «Rinascita»; ma che dovrà puntare soprattutto sulle semplificazioni procedurali nell’attesa di nuovi margini che probabilmente arriveranno più dagli interventi in cantiere a Bruxelles che dalla possibilità di aggiungere nuovi mattoni all’indebitamento made in Italy.

Perché il decretone che nella serata di martedì ha concluso il lungo lavoro di definizione al ministero dell’Economia dedica tutto l’indebitamento allo sforzo affannoso di tamponare le ferite aperte da una crisi economica diventata via via più grave di settimana in settimana. Su questo piano la nuova manovra ha ereditato dal decreto di marzo un aiuto da 3,4 miliardi, fatto di fondi inutilizzati per aiuti settoriali, ma anche un problema, rappresentato dai costi di una Cassa integrazione accelerati molto più rapidamente del previsto. E il risultato è che gli ammortizzatori sociali tornano a essere insieme alle altre forme meno tradizionali di sostegno ai redditi i veri protagonisti dei conti. A queste voci sono dedicati oltre 25 miliardi di nuovo deficit: 12,6 miliardi (che in termini di saldo netto da finanziare salgono a 18,6 miliardi, ben 16,4 solo per la Cig) si concentrano sugli ammortizzatori sociali veri e propri, altri 6,5 servono alla replica riveduta e corretta dei bonus per i lavoratori autonomi e 6,2 sono destinati a finanziare i contributi a fondo perduto per gli artigiani e le partite Iva che hanno subito ad aprile 2020 una perdita di fatturato di almeno il 33% rispetto a 12 mesi prima (si veda la pagina a fianco). Ma anche nell’insieme eterogeneo dei 5 miliardi etichettabili come «altre misure», che chiudono il conto della manovra, molti interventi servono a sostenere i redditi di questa o quella categoria.

L’altro capitolo di un certo peso del decretone è quello in cui sono assorbiti gli interventi di sostegno all’economia. A cominciare dallo sblocca debiti da 12 miliardi per le imprese che vantano crediti con Regioni, Comuni e Province e aziende sanitarie. E sempre nel tentativo di dare respiro alle imprese, il Governo in extremis ha previsto la cancellazione della rata di giugno dell’Irap. Che incide per oltre 3,9 miliardi sulla mappa contabile del provvedimento. Ha esclusivamente una ricaduta sul “saldo netto”, e quindi non sui nuovi spazi di deficit, l’operazione «Patrimonio destinato» da 44 miliardi con cui Cdp dovrà intervenire per rafforzare le imprese medio grandi, mentre per le ricapitalizzazioni pubblico private delle aziende con fatturato tra i 10 e i 50 milioni vengono destinati 4 miliardi al fondo Pmi.

Un fetta non trascurabile di risorse è assorbita dagli interventi da oltre 5 miliardi per sanità e sicurezza e, con una dote leggermente superiore di quelli per Regioni ed enti locali. Molto al di sotto resta invece il “soccorso” ai settori del turismo e della cultura che si ferma a 2,6 miliardi di euro e che, con oltre 1,6 miliardi, punta essenzialmente su uno dei tanti tax credit della manovra: quello per le vacanze.

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