Adempimenti

Metà delle imprese senza liquidità, 70% in Cig

di Davide Colombo

Nei mesi cruciali della quarantena anti-virus, tra marzo e aprile, poco meno di quattro imprese su dieci hanno dimezzato il fatturato. E oggi una su due di quelle aziende (dove lavora il 37,8% degli occupati) sconta una mancanza di liquidità per le spese attese entro fine anno. Il lockdown, che ha colpito più duramente le micro-imprese, ha tuttavia innescato una capacità di reazione, con una riorganizzazione degli spazi e dei processi produttivi e l’ampliamento dei metodi di fornitura di prodotti e servizi. Questi i risultati più significativi dell’indagine realizzata da Istat su un campione di circa 90mila imprese con tre o più addetti, rappresentative di un universo di poco più di un milione di unità appartenenti ai settori dell’industria, del commercio e dei servizi, corrispondenti al 23,2% delle imprese italiane che producono però l’89,8% del valore aggiunto nazionale e impiegano il 74,4% degli addetti (12,8 milioni).

Come già evidenziato da altre indagini, le micro-imprese sono state le più coinvolte dai blocchi delle attività (48,7% contro il 14,5% delle grandi), sono quelle che hanno incontrato più difficoltà ad adeguare gli spazi lavorativi alle nuove direttive sanitarie e sono anche quelle che hanno potuto utilizzare meno le forme di lavoro agile (lo ha fatto il 18% contro il 70-90% delle aziende medie e grandi). Ancora: le piccole sono quelle che hanno fatto fronte alle improvvise esigenze di liquidità con nuovi debiti bancari, mentre oltre il 30% delle medie o grandi imprese hanno scelto di utilizzare margini disponibili sulle linee di credito, oppure la disponibilità liquide di bilancio (34,7% e 33,9% rispettivamente delle medie e grandi). Sono il 42,8% del totale le imprese che hanno fatto richiesta di accesso ad almeno una delle misure di sostegno della liquidità e del credito contenute nel Dl 18/2020 e nel Dl 23/2020.

A livello aggregato, nei prossimi mesi quasi un’impresa su tre si aspetta una contrazione del fatturato a causa della riduzione della domanda locale e nazionale (rispettivamente il 32,1% e il 30,3%), mentre il 20% si aspetta un aumento dei prezzi delle materie prime, dei semilavorati o degli input intermedi, con marcati effetti settoriali: spiccano costruzioni (29,6%) e industria in senso stretto (28,9%), soprattutto la fabbricazione di prodotti chimici (45,4%). Solo il 12,6% delle imprese – che assorbono il 16,5% dell’occupazione - non ipotizza effetti particolari sull’attività, che, dichiarano, proseguirà normalmente. Si tratta in prevalenza di grandi (21,2%) e medie (17,6%) attive nelle costruzioni e nel commercio.

«L’indagine speciale condotta dall’Istat tra l’8 e il 28 maggio - spiega Roberto Monducci, capo del Dipartimento per la produzione statistica Istat - ha avuto un’adesione ampia da parte delle imprese che, pur non avendo l’obbligo di risposta, hanno voluto aderire ad un’iniziativa dell’istituto finalizzata a valutare la situazione e le prospettive del nostro sistema produttivo nell’emergenza sanitaria ed economica. La rilevazione è stata percepita dalle oltre 40mila imprese che hanno risposto all’indagine come un’occasione per testimoniare le esperienze, le criticità e le strategie dell’impresa in questa difficilissima fase. I risultati dell’indagine segnalano come, a fronte di forti difficoltà e diffusi rischi di tenuta operativa, le imprese stiano mostrando anche una notevole capacità di adattamento e reazione, sia nel breve periodo sia in una prospettiva temporale più ampia».

Ciò che emerge è un sistema produttivo nel quale, al netto del generalizzato utilizzo della cassa integrazione o del Fondo di integrazione salariale (Cig/Fis), prevalgono le strategie di riorganizzazione dell’impiego della forza lavoro, attuate da oltre la metà delle imprese. A fine maggio il 90% delle imprese (circa 906 mila unità che impiegano 12,2 milioni di addetti, pari al 95,5% del totale) dichiarava di avere adottato nuove misure di gestione del personale legate all'emergenza: la Cig è stata utilizzata dal 70%, l’obbligo delle ferie e la riduzione delle ore o dei turni di lavoro sono state indicate rispettivamente dal 35,9 e dal 34,4% delle imprese; l'introduzione o diffusione del lavoro a distanza (smart working) ha coinvolto quasi un quarto delle unità. Come detto più le grandi che le piccole imprese.

Vedi il grafico: Lavoro, le misure delle imprese

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