Adempimenti

Politiche attive per i disoccupati e cassa ordinaria per tutti i settori

di Giorgio Pogliotti

Primo: assicurare a chi perde il posto di lavoro un sostegno alla rioccupazione, invece del solo sussidio economico. Con la reintroduzione dell’assegno di ricollocazione per i percettori della Naspi, oggi riservato ai soli beneficiari del reddito di cittadinanza. Secondo: ripensare il sistema degli ammortizzatori sociali, adattandolo alle trasformazioni del tessuto economico su due versanti. In tema di integrazione salariale ordinaria, tutti i dipendenti vanno assicurati contro il rischio di perdita di reddito per riduzione o sospensione dell’attività lavorativa con il contributo di tutti i datori di lavoro, a prescindere dalla dimensione aziendale e dal settore di appartenenza. In tema di cassa integrazione straordinaria, vanno messe in campo le politiche attive, differenziando tra le situazioni di crisi connotate da piani di sviluppo industriale (da affidare al ministero dello Sviluppo economico) e quelle che prevedono la gestione degli esuberi (ministero del Lavoro).

Ruota intorno a queste proposte il documento illustrato da Confindustria ieri nell’incontro in videoconferenza con il ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo, che giovedì scorso aveva sentito i vertici di Cgil, Cisl e Uil, al tavolo di riforma degli ammortizzatori sociali. Ieri è stata la volta delle associazioni datoriali, per Confindustria è intervenuto il vicepresidente per le relazioni industriali Maurizio Stirpe, affiancato dal direttore dell’area Lavoro, welfare e capitale umano Pierangelo Albini. Il documento propone una «graduale transizione verso nuovi equilibri piuttosto che una rivoluzione copernicana degli strumenti del nostro mercato del lavoro». Sul versante della disoccupazione involontaria, per Confindustria il riconoscimento di un sussidio economico, deve essere funzionale all’obiettivo della ricollocazione e condizionato alla collaborazione del disoccupato nelle attività propedeutiche al reimpiego.

La Naspi, come è noto, è finanziata dalla contribuzione delle imprese e dalla fiscalità generale. Confindustria evidenzia che «nonostante le prestazioni siano sostanzialmente simili si registrano ingiustificabili disparità di contribuzione fra settori (industria, artigianato, commercio)». La richiesta è quella di intervenire con un riequilibrio delle aliquote contributive che avrebbe un effetto positivo anche sull’andamento economico della gestione dell’Inps che per quanto riguarda la Naspi «presenta sempre saldi negativi dal 2013 al 2018». Nel merito, per Confindustria la Naspi dovrebbe comporsi di due distinte quote: la prima di un ammontare non inferiore all’importo del reddito di cittadinanza. La seconda quota, invece, dovrebbe essere erogata solo a fronte di attività formativa finalizzata alla ricollocazione.

Sul fronte della Cig, la ricorrenza degli eventi di crisi (tre dal 2008) alle quali i governi di turno hanno fatto fronte stanziando ingenti risorse per la cassa in deroga, secondo Confidustria dovrebbe far riflettere sul superamento dell’attuale frammentazione delle coperture assicurative nei differenti settori merceologici. In materia di Cigo tutti i datori di lavoro, a prescindere dalla dimensione aziendale e dal settore di appartenenza, dovrebbero contribuire con un’aliquota ordinaria, uguale per tutti, ed un contributo addizionale, proporzionato all’utilizzo. In tema di Cigs, per Confindustria bisogna da subito puntare sulle politiche attive distinguendo tra le situazioni di crisi connotate da piani di sviluppo industriale, di riorganizzazione o reindustrializzazione e le situazioni di crisi che presentano un risvolto occupazionale di gestione degli esuberi. Per le prime vanno strutturati percorsi e strumenti al Mise, con il ricorso alla Cigs e ai contratti di solidarietà. Per le seconde il ministero del Lavoro dovrà mettere a punto un mix di politiche attive e sussidi economici puntando alla ricollocazione attraverso la riqualificazione professionale. «Serve un grande piano nazionale per il reinserimento lavorativo, integrando servizi pubblici e privati, incentivando la formazione professionale, finanziato con fondi europei e nazionali», coinvolgendo «le filiere formative e, attraverso i fondi interprofessionali, le parti sociali». Le imprese chiedono di dare attuazione all’intesa concordata a livello interconfederale con i sindacati a settembre del 2016 per intervenire all’inizio della crisi aziendale e non alla fine con il patto di ricollocazione.

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