Adempimenti

Diffida accertativa ai corresponsabili ma debutta il ricorso all’ispettorato

di Luigi Caiazza e Roberto Caiazza

Il decreto semplificazioni da un lato introduce una ulteriore chance per il lavoratore che vanta crediti patrimoniali, con la chiamata in causa del soggetto solidalmente responsabile con il datore di lavoro, dall’altra consente il ricorso avverso la diffida accertativa in sede amministrativa allo stesso direttore dell’Ispettorato territoriale che ha emanato l’atto.

Le modifiche riguardano l’articolo 12 del Dlgs 124/2004 e sono contenute nell’articolo 12-bis del Dl 76/2020, convertito in legge il 10 settembre. Secondo il nuovo comma 1, in caso di accertate inosservanze alla disciplina contrattuale, con conseguenti crediti patrimoniali a favore del dipendente, l’ispettore del lavoro diffida il datore di lavoro e i soggetti che utilizzano tali prestazioni in quanto ritenuti solidalmente responsabili dei crediti accertati. Si tratta di una ulteriore forma di tutela a favore del lavoratore, mutuata dall’articolo 29 del Dlgs 276/2003 in materia di appalti.

Non è chiaro, però, se resta confermato quanto a suo tempo chiarito dal ministero del Lavoro con la lettera circolare 13325/2014, secondo cui «gli obbligati solidali non hanno facoltà di ricorrere avverso la diffida accertativa per crediti patrimoniali», nonché quanto espresso dall’Ispettorato nazionale del lavoro (Inl) con la circolare 4623/2018, riguardante le limitazioni procedurali e gli effetti della diffida accertativa nel corso della procedura fallimentare.

In merito al ricorso, la norma in esame (comma 2) prevede che, fermo restando che il datore di lavoro entro 30 giorni dalla notifica della diffida accertativa può promuovere il tentativo di conciliazione presso la direzione territoriale del lavoro, in alternativa, ed entro lo stesso termine, può presentare ricorso al direttore territoriale dell’Ispettorato avverso il provvedimento stesso. Il ricorso, notificato anche al lavoratore, sospende l’esecutività della diffida e sarà deciso nel termine di sessanta giorni dalla sua presentazione.

Decorso inutilmente tale termine, o in caso di mancato raggiungimento dell’accordo, oppure in caso di rigetto del ricorso, il provvedimento di diffida acquista efficacia di titolo esecutivo. Poiché la nuova articolazione del comma 2 prevede due termini, il primo di 30 giorni (promozione dell’iter conciliativo o in alternativa il ricorso) e il secondo di 60 giorni (per la definizione del ricorso), deve ritenersi, salvo successivi chiarimenti, che dal decorso di uno o dell’altro derivi l’esecutività della diffida.

Non è esplicitato, poi, che a seguito dell’inutile trascorrere dei 60 giorni per la definizione del ricorso, questo debba intendersi respinto. Tale precisazione appare processualmente determinante, atteso che sarà possibile per il datore di lavoro proseguire la tutela in sede giudiziale, in opposizione all’esecuzione, soltanto a seguito della definitività dell’atto amministrativo di cui dovrà darne prova.

Dovrebbe valere tale soluzione, visto che il precedente comma 4, ora abrogato, nel prevedere la presentazione del ricorso al comitato regionale per i rapporti di lavoro (e che questo avrebbe deciso entro novanta giorni), esplicitamente stabiliva che decorso inutilmente il termine, il ricorso si intendeva respinto.

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