Rapporti di lavoro

No alle telecamere negli spogliatoi se violano la privacy

di Angelo Zambelli

Il 10 luglio 2014, con decisione n. 357, il Garante per la protezione dei dati personali ha depositato un'interessante decisione assunta a seguito della richiesta di un'impresa «di poter installare un sistema di videosorveglianza all'interno degli spogliatoi maschili aziendali (…)» attese le «numerose e ripetute segnalazioni di effrazioni negli spogliatoi aziendali da parte dei dipendenti». La società aveva allegato che già in passato si erano verificati furti e, pertanto, «era stata installata una telecamera "orientata alla porta di ingresso degli spogliatoi allo scopo di riprenderne gli accessi"»; tuttavia, soprattutto dal 2012 «il numero delle effrazioni negli spogliatoi» era tornato «ad essere importante»: pertanto, gli armadietti dei lavoratori era stati dotati di lucchetti.
La Società allegava altresì tre verbali di accordo sottoscritti con la RSU ove si concordava, dapprima, «l'installazione di un sistema di videosorveglianza (…) riferito all'area di accesso agli spogliatoi operai e non all'interno dello spogliatoio stesso» e, da ultimo, la «necessità di implementare impianti audiovisivi presso le aree degli spogliatoi maschili siti al primo piano […] al fine di garantire la sicurezza degli impianti, dei lavoratori e/o collaboratori e dell'utenza».
Prima di analizzare i motivi che hanno portato l'Autorità interpellata a vietare l'installazione in parola, occorre ricordare che ai sensi dell'art. 4 della L. 300/70, cd. "Statuto dei Lavoratori", è vietato l'uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori, mentre «gli impianti e le apparecchiature di controllo che siano richiesti da esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro, ma dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori» possono essere installati soltanto previo accordo con le RSA. In difetto di accordo, su istanza del datore di lavoro, provvede l'Ispettorato del lavoro.
Secondo la giurisprudenza formatasi sul punto, per «controllo a distanza dell'attività dei lavoratori» deve intendersi il controllo «dell'attività lavorativa in quanto tale ovvero il [divieto di] controllo della corretta esecuzione dell'ordinaria prestazione del lavoratore»(da ultimo, Cass. n. 30177 del 2013).
Peraltro, negli anni, è stata ammessa l'installazione degli impianti in questione – anche qualora comporti controllo dell'attività dei lavoratori – laddove si renda necessario tutelare sia la sicurezza dei lavoratori sia il patrimonio aziendale (ibidem): nel caso di specie, tuttavia, il prospettato sistema di videosorveglianza avrebbe violato i necessari principi di liceità, necessità e pertinenza ex artt. 3 e 11 Dlgs. 196/2003, nonché il provvedimento generale in materia di videosorveglianza dell'8 aprile 2010.
Infatti, è stato sottolineato che, da una parte, il sistema progettato avrebbe comportato «il minuzioso videocontrollo dell'intera area adibita a spogliatoio del personale maschile», senza limitazione alcuna; dall'altra, i furti subiti in passato non erano avvenuti negli spogliatoi, bensì all'interno dei locali aziendali adibiti allo svolgimento dell'attività lavorativa e al di fuori dell'orario di lavoro».
Inoltre, «nel testo dell'accordo da ultimo sottoscritto dalla R.S.U. in data 18.3.2014, l'implementazione dell'impianto di videosorveglianza (preordinato peraltro al perseguimento di finalità eterogenee non del tutto coerenti con il dettato dell'art. 4, comma 2, l. 300/1970)» era indicata «in termini (…) diversi dalle concrete modalità descritte nel progetto».
Il provvedimento appare pertanto in linea non soltanto con la disciplina sulla privacy, bensì anche con i princìpi elaborati dalla giurisprudenza in tema di art. 4. Stat. Lav.

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