Rapporti di lavoro

Formazione professionale: modelli a confronto sull’alternanza scuola-lavoro

di Francesca Barbieri

Dieci regole d'oro indirizzate ai Paesi dell'Unione per rafforzare e rendere efficaci i sistemi di alternanza scuola/lavoro. Regole che variano a seconda del modello adottato da ciascun Paese: negli Stati in cui l'alternanza è sinonimo di apprendistato, Bruxelles raccomanda di supportare l'innovazione e sviluppare misure a favore dell'inclusione dei lavoratori svantaggiati e degli immigrati. Invece, in quelli dove l'alternanza è fondata principalmente sulla scuola (come l'Italia), occorre rafforzare le partnership con le imprese, supportando soprattutto le Pmi.

In generale, aumento delle competenze professionali, sviluppo di un'identità professionale, più facile passaggio dalle aule scolastiche al mondo del lavoro e soprattutto maggiori opportunità occupazionali sono gli assi nella manica dei sistemi di alternanza scuola/lavoro, come evidenziati dalla Commissione cultura e formazione del Parlamento europeo nel rapporto «Dual education: a bridge over troubled waters?». Lo studio ha messo sotto la lente dieci Stati – Repubblica ceca, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Italia, Olanda, Polonia, Portogallo e Gran Bretagna - con l'obiettivo di individuare i punti di forza e le criticità del binomio formazione/apprendistato ed esaminare le politiche di sviluppo in Europa relativamente all'introduzione e/o rafforzamento del modello di alternanza.

I risultati
Dallo studio emerge che nella maggioranza dei Paesi Ue è presente almeno un modello che offre un mix di formazione professionale basata sul lavoro e sulla scuola, mentre altri Paesi presentano due modelli in cui ciascuno, seppur in diverse modalità, include elementi dell'altro, con il rischio però di creare due sistemi che dialogano poco e male.

Le tipologie-chiave dei sistemi “Vet” (istruzione e formazione professionale) sono quattro e spaziano dall'apprendistato a pieno titolo (o sistema duale) come principale modello fino all'apprendistato inteso come forma minore e parallela di istruzione.

C'è, poi, la formazione professionale fondata sulla scuola con forti elementi di apprendimento basati sul lavoro. Infine, i sistemi “Vet” fondati prevalentemente sull'istruzione scolastica, area in cui si colloca il nostro Paese.

Focus sull'Italia
Anche se le linee-guida per la riforma della scuola provano a invertire la rotta, con misure ad hoc per incentivare l'alternanza scuola/lavoro, raddoppiando il numero di ore di formazione in azienda (da 100 a 200 annuali) e rendendo obbligatoria l'alternanza almeno negli istituti tecnici e professionali, per ora nel nostro Paese solo il 9% degli studenti di scuola superiore svolge percorsi di alternanza. Questo valore così basso, evidenziano da Bruxelles, è tra le cause dell'elevata disoccupazione giovanile (oltre il 40%) e del fenomeno dei Neet. In Germania e nei Paesi Bassi, dove alternanza e apprendistato sono strutturati nel sistema educativo, i tassi occupazionali dei giovani sono alti, la disoccupazione è sotto i livelli di guardia e i Neet non sono un fenomeno sociale allarmante.

Le direttrici di Bruxelles
Lo studio europeo raccomanda ai Paesi di incrementare il sistema di formazione professionale, tenendo in considerazione le singole politiche, il mercato del lavoro, il contesto formativo e culturale.

Ma il passaggio a un «sistema di apprendistato a pieno titolo» potrebbe non rivelarsi adatto a ogni Paese. Mentre, per esempio, quello tedesco è considerato un sistema di successo, potrebbe non essere considerato appropriato “trasferirlo” ad altri Paesi con differenti caratteristiche del mercato del lavoro e limitate esperienze di apprendistato.

Per l'Italia il rilancio dell'alternanza scuola/lavoro non passa attraverso un'”importazione” in toto del sistema tedesco, ma è sufficiente riprenderne i princìpi essenziali: un legame stretto tra sviluppo economico e innovazione del sistema scolastico, una scuola orientata alla formazione delle competenze, la presenza diffusa di partnership con le imprese, l'elevata qualità degli insegnanti, la formazione degli studenti in azienda e in laboratorio. Allo stesso tempo, nei settori in cui è richiesto un grado maggiore di specializzazione, è auspicabile - secondo Bruxelles - un periodo di apprendistato in diverse realtà aziendali per consentire al tirocinante un aggiornamento continuo delle proprie competenze professionali.

E tra le 100 proposte presentate la scorsa settimana da Confindustria per rilanciare l'istruzione, un capitolo ampio è dedicato proprio all'alternanza: si propone di renderla obbligatoria negli ultimi tre anni dell'istruzione tecnica, rafforzarla nei periodi estivi, semplificare l'apprendistato di primo e di terzo livello, incentivare l'Erasmus in azienda e il placement negli istituti superiore e nelle università.

I Neet in Europa

Le regole di Bruxelles

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