Rapporti di lavoro

Per i controlli a distanza un modello dalla Ue

di Rossella Schiavone

Il Jobs act, che è stato approvato dal Senato, prevede anche la delega al governo per l'adozione – entro sei mesi dall'entrata in vigore della legge – di decreti legislativi che rivedano la «disciplina dei controlli a distanza, tenuto conto dell'evoluzione tecnologica e contemperando le esigenze produttive ed organizzative dell'impresa con la tutela della dignità e della riservatezza del lavoratore».

La coerenza con la regolazione dell'Ue e le Convenzioni internazionali troneggia, così come il Ddl sottolinea, ma in materia non bisogna tralasciare la Costituzione perché la questione dei controlli a distanza in azienda – e quindi anche la più comune videosorveglianza – a dispetto della comune opinione, è indissolubilmente legata alla privacy, al rispetto della sfera personale dei lavoratori e al trattamento dei dati.

In realtà la nostra Costituzione non contiene una disciplina esplicita del diritto alla privacy, ma il fondamento costituzionale è rinvenibile in disposizioni di carattere generale (articoli 2 e 3) e in fattispecie di tutela singole e specifiche (come gli articoli 13, 14, 15 e 21).

Ampliando il discorso a livello comunitario e internazionale, c'è soprattutto la normativa sul trattamento dei dati personali da rispettare (direttiva 95/46/Ce), ma non bisogna dimenticare che il diritto alla privacy è un diritto umano fondamentale tutelato dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (Cedu) e dalla Carta dei diritti fondamentali del 2000, proclamata nuovamente a Strasburgo nel 2007 e riconosciuta, successivamente all'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, come avente lo stesso valore giuridico dei trattati. Non a caso l'articolo 8 della Cedu tutela espressamente il diritto alla privacy inteso come protezione dei dati personali.

Inoltre, la tutela della riservatezza trova riferimento nella Dichiarazione universale dei diritti umani deliberata nel 1948 dalle Nazioni unite e numerosi sono i trattati internazionali che riconoscono tra i diritti umani il diritto alla privacy. Da ultimo, non peregrino è il fatto che il nostro Garante per la privacy abbia emanato le ultime linee guida in materia di videosorveglianza nel 2010, a seguito della pubblicazione da parte del Garante europeo per la privacy (Gepd) delle linee guida europee per la videosorveglianza.

In definitiva, nell'esercitare la delega, il governo dovrà comunque rispettare tutti i principi internazionali, comunitari e costituzionali con la conseguenza che il suo margine di azione, a un primo attento sguardo, risulta comunque molto limitato rispetto a quello che si possa eventualmente ipotizzare.

Probabilmente potrà aggiornare l'articolo 4 dello Statuto dei lavoratori – effettivamente molto datato, anche se è sempre stato considerato come una norma aperta contenente prescrizioni generiche capaci di adattarsi ai diversi sistemi di controllo a distanza – e magari snellire gli obblighi e le procedure attuali.

Indubbiamente occorrerà mettersi al passo con l'evoluzione tecnologica, e le aziende meritano attenzione, soprattutto perché quelle estere sono restie a investire da noi e, fra i tanti motivi, c'è anche l'eccessiva burocrazia e l'opposizione all'installazione di tali sistemi non aventi mera finalità di controllo ma, bensì, giustificata da reali e motivate esigenze produttive e organizzative.

Probabilmente potrà essere superato l'obbligo di accordo con le Rsa e di richiesta di autorizzazione alla Dtl (quando manchino le Rsa o non si sia raggiunto l'accordo). Magari basterà la regolamentazione aziendale fatta con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale.

Ma, attenzione, quest'ultima possibilità esiste già: l'articolo 8 del decreto legge 138/2011, sulla contrattazione di prossimità, offre questa alternativa.

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