Rapporti di lavoro

Come cambia il capitale (umano) nel XXI secolo

di Paolo Bricco

Giovani, alla ricerca di un lavoro. E, attraverso il lavoro, non solo di un reddito. Che già - al giorno d'oggi - non è poca cosa. Attratti anche da una esperienza emotiva e culturale. In fondo, consapevoli che lavoro significa identità. Sono i “ragazzi della crisi”. La parte più qualificata e brillante. Il mercato del lavoro sta sperimentando un profondo rivolgimento. Il piano inclinato delle condizioni generali della nostra economia si sta intersecando con la graduale mutazione - un cambiamento quasi antropologico - del profilo (insieme materiale e concreto) dei ragazzi di maggiore talento. «Questa grande mutazione - spiega Donato Iacovone, amministratore delegato di EY (Ernst & Young) in Italia - sta modificando la struttura del mercato del lavoro e, in fondo, sta ricalibrando in misura considerevole il rapporto fra imprese e capitale umano. In particolare, quello più prezioso e grezzo: i ragazzi appena usciti dal sistema formativo».

Nel delicato connubio fra capitale umano (appunto, di nuova generazione) e condizioni sistemiche, esiste una realtà effettuale che tutto condiziona. La recessione avviatasi nel 2008 ha in Italia effetti profondi e duraturi. La sua pervasività (e durezza) è maggiore di quelle sperimentate dal nostro Paese nel 1974 (da shock petrolifero) e nel 1992 (da squilibri monetari internazionali). Nel 1974 servirono sei trimestri al Pil e undici trimestri alla produzione industriale per tornare al livello ante crisi; nel 1992, ne furono rispettivamente necessari nove e otto; ora, usando il riferimento temporale del fallimento di Lehman Brothers (il 15 settembre 2008), si contano già 24 trimestri. E, in fondo al tunnel, non si intravvede alcuna luce. In tutto questo, la situazione dei “ragazzi della crisi” ha, nel nostro Paese, tonalità grigie.

Le stime di EY, che utilizzano dati di fonte Oecd e Eurostat, nella disoccupazione giovanile assegnano all'Italia la penultima posizione fra i primi venti Paesi più industrializzati. Fra chi ha fra i 15 e i 24 anni, la disoccupazione supera ormai il 40 per cento. Soltanto il Sud Africa fa peggio: supera il 50 per cento. Perfino la Francia, che resta l'altro grande malato della Europa manifatturiera, riesce a stare sotto il 25 per cento. La Germania, che ha l'egemonia economica sul Vecchio Continente, contiene in maniera strutturale il fenomeno, che infatti non supera il 10 per cento.

«In questo contesto - dice Iacovone - il mix fra lo shock esogeno della crisi e la trasformazione digitale endogena di tutta l'economia italiana, non solo i servizi ma anche la manifattura, impone un ripensamento dell'approccio al problema delle risorse professionali: bisogna riqualificare i senior e occorre elaborare un nuovo rapporto con i junior. Con una anticipazione dei cicli. Il ritmo del cambiamento è serratissimo». Un tema interessante, in uno scenario drammaticamente complesso come quello italiano, è appunto rappresentato dal nuovo tipo di rapporto fra i junior brillanti, che nonostante la recessione rappresentano merce rara, e le imprese che se li contendono: «Una volta esisteva maggiore rigidità e prevedibilità - dice l'amministratore delegato di EY Italia - oggi alla carriera e alle retribuzioni si appaiono anche richieste più articolate da parte di chi è appena uscito dal sistema formativo, italiano ma non solo. Sono richieste quasi esistenziali».

Siamo, dunque, di fronte a una sorta di salto generazionale. «Ormai è invalsa - specifica Marzia Borganti, responsabile del recruitment di EY Italia - una logica di reciprocità. I ragazzi che entrano nelle imprese danno molto, ma chiedono anche molto. Una volta il neoassunto chiedeva di essere condotto quasi per mano. Ora ha un atteggiamento attivo. Al di là della durezza della crisi attuale, i più brillanti continuano ad avere buone chance di trovare una occupazione. E scelgono se entrare in una società, non importa che sia un gruppo di consulenza, una grande banca o una media impresa manifatturiera anche in virtù di elementi immateriali: un ambiente non soltanto meritocratico, ma anche creativo e sfidante, in cui siano previsti percorsi formativi di qualità». Questo autentico mutamento antropologico è percepibile pure dalla versione italiana dell'Universum Student Survey 2014, che definisce appunto le gerarchie delle priorità motivazionali. Secondo questa analisi, infatti, la prospettiva di cospicui guadagni futuri è soltanto all'ottavo posto delle priorità.

Al primo posto c'è un lavoro sfidante. Al secondo la possibilità di percorsi formativi di qualità. Al terzo la meritocrazia. Al quarto posto la possibilità di operare in un ambiente dinamico e creativo. Peraltro, il tema dell'”assetto interiore” del capitale umano più fresco - lievito delle organizzazioni industriali e di servizi - si incrocia con il problema dell'imprenditorialità giovanile. E, in questo caso, se il cambiamento delle aspettative e l'idea di lavoro riguardano - per quanto in misura diversa - tutti i Paesi occidentali, esiste una specificità che rende più critico il profilo italiano. C'è un report di EY che, non caso, si intitola in una delle sue parti più interessanti “Avoiding a lost generation. Ten key to support youth entrepreneurship across the G20”. Nel barometro della società di consulenza sulla diagnosi della disoccupazione giovanile, che contempera la rapidità della crescita economica e la qualità dell'occupazione per i giovani, l'Italia si trova in un quadrante “critico”, insieme per esempio all'Argentina, all'Arabia Saudita e al Sud Africa. «Il problema - dice Iacovone - è che il 67% dei nuovi posti di lavoro sono creati da imprenditori. Ma l'imprenditorialità italiana rischia di essere tarpata dai deficit strutturali, per esempio burocratici e tecnologici, del Paese. In questo, i giovani rischiano di essere l'anello debole».

Dunque, in un passaggio maledettamente complicato come l'attuale, la realtà italiana sta sperimentando la doppia pressione (la crisi esterna e le criticità sistemiche interne) e la profonda mutazione di quanto ha di maggiormente prezioso: il capitale umano, più fresco e brillante. Una scommessa che non si può perdere.

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