Rapporti di lavoro

Garanzia giovani, le buone prassi dall’Europa per evitare il flop

di Michele Tiraboschi


Nonostante sia trascorso un anno dal suo avvio, sono ancora molte le criticità che impediscono a Garanzia giovani di funzionare nel nostro Paese. Molte di queste sono state evidenziate anche dall'Europa stessa che, in un suo recente rapporto, ha chiesto all'Italia di impegnarsi maggiormente perché Garanzia giovani possa costituire un’effettiva opportunità di occupabilità. Che fare?
Un buon esercizio può essere quello di guardare ai paesi nei quali le iniziative per combattere la disoccupazione giovanile stanno dando i maggiori frutti. In particolare è utile confrontarsi con la Germania, paese nel quale il tasso è fermo al 7,2%.
Questo dato convive però con una grande disparità geografica tra est e ovest, con un il tasso che raddoppia nei lander orientali, e con la difficoltà dei giovani stranieri di trovare un mestiere. Per questa ragione esistono iniziative volte a contrastare tali fenomeni e a queste possiamo ispirarci.
In primo luogo il modello tedesco recepisce l'indicazione della raccomandazione europea di implementare i sistemi di Garanzia giovani costruendo “alleanze” tra tutti i soggetti in grado di incidere sulla partecipazione dei giovani alla società attiva, creando sinergie, unendo le competenze in vista del raggiungimento di un obiettivo unitario di “garanzia”. Questo ruolo è stato svolto nel nostro Paese fino a dicembre da una struttura pubblicistica che non ha dato buona prova di sé.

Perché allora non seguire l'esempio della Germania dove l'implementazione di Garanzia giovani è affidata a strutture agili e partecipate? La Germania ha infatti affidato l'implementazione del Piano alla Young People and Career Work Alliance, un gruppo di lavoro del quale fanno parte le agenzie per il lavoro, i centri pubblici per l'impiego, i comuni, le organizzazioni giovanili.

I diversi soggetti coinvolti hanno sottoscritto un accordo di cooperazione costitutivo dell'Alleanza e hanno definito un sistema di regole di funzionamento della stessa con l'intento di promuovere la trasparenza, effettuare analisi congiunte, ottimizzare la disponibilità dei dati, creare processi comuni e sincronizzare le offerte.
Il secondo fronte è quello delle tipologie di offerte fatte ai giovani.

I dati ci dicono che in Germania il cuore di queste è costituito da contratti di apprendistato, in linea con le richieste europee di concentrare sforzi e risorse nell'aumentare l'occupabilità dei giovani. In Italia sembra che ogni offerta abbia un valore in sé stessa e per questo non venga analizzata qualitativamente prima di essere proposta. Il rischio poi è quello di ritrovarsi con centinaia di offerte per lavori che non servono veramente a formare le competenze necessarie a sopravvivere e, perché no, a primeggiare nel mercato del lavoro del futuro ma solamente brevi esperienze che servono più alle imprese a risparmiare sul costo del lavoro che altro.
Gli spunti a cui guardare quindi non mancano. Non per copiare interamente sistemi virtuosi ma per orientare le scelte e i modelli che vogliamo costruire. Siamo coscienti infatti che tutto questo non si fa da un giorno all'altro, e che il 43,1% di disoccupazione giovanile è una febbre che richiede una lunga cura per scendere, serve però non aver paura della medicina e del dottore, anche se questo si chiama Unione europea, sinergie pubblico-privato, retribuzione a risultato eccetera.
Ci auguriamo quindi che dopo il primo anniversario dall'avvio del piano venga fatta una seria, anche aspra se serve, riflessione su cosa non è andato e che sia una occasione per spalancare le finestre verso quegli orizzonti europei che hanno tanti strumenti da offrirci, per poterli poi noi combinare nel modo migliore per il nostro Paese e soprattutto per i nostri giovani.

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