Rapporti di lavoro

Tra gli under 35 prende quota il lavoro accessorio

di Francesca Barbieri

Se sulle collaborazioni c’è una stretta, per il lavoro accessorio, invece, si allarga il raggio d’azione.

Il decreto di riordino delle forme contrattuali, infatti, aumenta il tetto massimo dei compensi pagati con i voucher o buoni per il lavoro occasionale accessorio, portandolo a 7mila euro l’anno, rispetto ai 5mila previsti finora.

Un valore da intendersi riferito all’anno 2015 - si legge nella relazione tecnica al decreto - che dovrà essere annualmente rivalutato sulla base dell’indice Istat relativo ai prezzi al consumo.

Altra novità riguarda la tracciabilità obbligatoria dei voucher, insieme al divieto di utilizzo negli appalti, fatte salve specifiche ipotesi che saranno individuate dal ministero del Lavoro, sentite le parti sociali, entro sei mesi dall’entrata in vigore del decreto. Le novità si inseriscono sul decreto Giovannini del 2013 (Dl 76) che ha fatto rientrare nel lavoro accessorio le prestazioni caratterizzate da compensi fino a 5mila euro l’anno per singolo lavoratore, ridotti a a 2mila nei confronti dei committenti imprenditori commerciali o professionisti.

Dalla sperimentazione in occasione della vendemmia del 2008 a oggi, il sistema dei buoni lavoro si è progressivamente allargato: nel 2014, secondo il report realizzato dal centro studi Datagiovani per Il Sole 24 Ore, sono stati venduti quasi 70 milioni di tagliandi (di cui 63 milioni riscossi), il 70% in più rispetto al 2013, l’equivalente di circa 700 milioni di euro.

Se si guarda, poi, all’intero arco di vita dei voucher, il sistema ha movimentato oltre 1,6 miliardi e coinvolto più di 2 milioni di lavoratori.

Nel 2014, in particolare, le persone che hanno prestato attività di lavoro accessorio hanno superato quota un milione, oltre la metà con un età al di sotto dei 35 anni, in un caso su cinque nel commercio (21%), seguito a breve distanza dal turismo (16%), che registra anche il maggior aumento (+126%).

A livello territoriale, nel Nordest sono stati venduti quasi 26 milioni di buoni lo scorso anno, il 37% del totale. A ben guardare, i datori di lavoro di 4 regioni italiane acquistano più della metà di tutti i voucher: si tratta di Lombardia (17%), Veneto (14%), Emilia Romagna (13%) e Piemonte (9%). Se è vero che al Sud il ricorso al lavoro occasionale accessorio sembra meno consistente, c’è da dire che il gap con il resto d’Italia si sta riducendo, dato che è nel Mezzogiorno che la vendita di tagliandi è aumentata di più nel 2014 (+87%), con punte del 124% in Puglia e dell’82% in Sardegna.

Cartacei o telematici, in tagli da 10, 20 o 50 euro, i voucher contengono una quota di retribuzione, ma anche una fetta di contributi Inps e Inail. Il valore nominale è comprensivo infatti della contribuzione (13%) a favore della gestione separata Inps, di quella diretta all’Inail per l’assicurazione anti-infortuni (7%) e di un compenso al concessionario (Inps) per la gestione del servizio (5 per cento).Gli oltre 63 milioni di voucher riscossi dai lavoratori “a gettone” nel 2014 (+74% rispetto al 2013) possono essere tradotti, ricordando che ogni voucher vale per chi lo riscuote 7,5 euro netti, in 469 euro medi a lavoratore, in leggero aumento sul 2013 (+6 per cento).

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