Rapporti di lavoro

Risoluzione consensuale in salita con la nuova disciplina delle «dimissioni in bianco»

di Antonio Carlo Scacco

L'articolo 26 del decreto legislativo 151/2015, nel riformare la disciplina di tutela contro la pratica delle dimissioni e della risoluzione consensuale in bianco, pone agli interpreti dei problemi applicativi di non poco conto.

La norma ha sostanzialmente reintrodotto il meccanismo doppiamente vincolato della abrogata legge 188/2007: con la sua piena entrata in vigore dimissioni e risoluzione consensuale dovranno essere fatte esclusivamente in modo telematico (vincolo procedimentale) su “appositi moduli” disponibili sul sito web del ministero del Lavoro (vincolo formale). Tuttavia, mentre le dimissioni costituiscono un atto unilaterale recettizio che, ai sensi dell'articolo 1334 del codice civile, produce effetto dal momento in cui perviene a conoscenza della persona alla quale è destinato, la risoluzione consensuale del contratto di lavoro è un accordo delle parti.

Nel regime introdotto dalla legge Fornero (legge 92/2012), la risoluzione consensuale si otteneva con normale accordo scritto tra datore e lavoratore, ma l'efficacia dell'atto era sospensivamente condizionata alla convalida nelle sedi protette o, in alternativa, alla apposizione della firma del lavoratore in calce alla ricevuta di trasmissione rilasciata dopo la comunicazione telematica di cessazione del rapporto di lavoro.

L'articolo 26 del decreto legislativo 151, invece, dispone che la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro è fatta, a pena di inefficacia, esclusivamente con «modalità telematiche su appositi moduli […] trasmessi al datore di lavoro». Non è chiaro, pertanto, in che modo una risoluzione consensuale potrà essere fatta “esclusivamente” trasmettendo il modulo al datore (a cura del lavoratore o suo delegato) visto che, in ogni caso, per essere valida deve essere accettata dallo stesso datore e restituita da questi al proponente (articolo 1326 del codice civile). Inoltre, poiché l'accordo consensuale di risoluzione spesso è un accordo complesso in cui si prevede l’erogazione di un corrispettivo a favore del lavoratore a fronte del suo consenso alla risoluzione, l'accordo dovrebbe essere successivamente riportato fedelmente negli “appositi moduli” (gli unici, si ricorda, con i quali si “fa” la risoluzione).

Quindi si può ipotizzare un precedente accordo scritto che, opportunamente scannerizzato, viene allegato dal lavoratore al modulo che trasmette al datore. Ma in questo caso che senso avrebbe ritrasmettere l'accordo al datore? E se il lavoratore indica nel modulo un importo alterato del corrispettivo concordato con il datore? Infatti la sanzione amministrativa da 5mila a 30mila euro per alterazione dei moduli previsti al comma 5 dell'articolo 26 è prevista esclusivamente per fatto del datore.

Infine il lavoratore potrebbe percepire dei corrispettivi a fronte dell'accordo di risoluzione, trasmettere il modulo, ma revocarlo entro sette giorni (comma 2 dell'articolo 26). A fronte della revoca, la legge Fornero prevedeva la cessazione di ogni effetto di eventuali pattuizioni e l'obbligo in capo al lavoratore di restituire tutto quanto eventualmente percepito in forza di esse, ma l'articolo 26 nulla prevede in proposito.

Queste sono solo alcune delle problematiche (limitatamente alla risoluzione consensuale) alle quali il prossimo decreto attuativo dell'articolo 26, da emanarsi entro 90 giorni dalla entrata in vigore del decreto legislativo che è avvenuta lo scorso 24 settembre, dovrà dare una risposta.

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