L'esperto rispondeRapporti di lavoro

Licenziamento tutela crescente e conciliazione

di Giampiero Falasca

La domanda

Buon giorno, mi trovo nella seguente situazione: un dipendente, assunto a tutela crescente , è stato licenziato per giusta causa, dopo undici mesi di lavoro. L’ex dipendente ha impugnato il licenziamento. Il datore di lavoro vorrebbe conciliare entro 60 giorni. La normativa prevede che le piccole aziende possono offrire una mensilità ma con un minimo di due mensilità Il quesito è se possiamo offrire davanti al conciliatore una mensilità, ipotizzando che in fase giudiziale con esito negativo l’importo da erogare sarebbe sempre di due mensilità?

Il quesito concerne il funzionamento della nuova conciliazione volontaria introdotta dal piano di riforme noto come Jobs Act, che, nello specifico, è disciplinata dall'articolo 6 del D.Lgs. n. 23/2015. Come noto, la predetta norma ha introdotto un nuovo strumento conciliativo che consente al datore di lavoro, in caso di licenziamento di un dipendente assunto con contratto a tutele crescenti, di offrire a quest'ultimo - entro il termine di decadenza di 60 giorni dalla comunicazione del recesso - un importo non assoggettato a tassazione, né a contribuzione previdenziale. L'entità di tale offerta economica, però, non è rimessa alla volontà delle parti bensì è predeterminata dalla legge, in base alla dimensione occupazionale dell’impresa e all’anzianità di servizio del lavoratore. Nello specifico, infatti, per le aziende che presentano il requisito dimensionale di cui all’art. 18, legge 300/1970 (più di 15 dipendenti nello stesso comune o più di 60 sul territorio nazionale), l’offerta ha un contenuto economico vincolato pari a 1 mensilità della retribuzione per ogni anno di lavoro, da un minimo di 2 sino a un massimo di 18 mensilità (il parametro è la retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto). Invece, per quanto riguarda - come nel caso di specie - i nuovi assunti dipendenti da piccole imprese, l’ammontare e l’importo della somma di denaro che possono essere offerti in sede di conciliazione sono dimezzati in virtù del combinato disposto degli artt. 6 e 9 del D.Lgs. n. 23/2015. Sicché la somma che potrà essere offerta ai neoassunti presso una piccola impresa in sede di conciliazione cosiddetta facoltativa, corrisponde a un importo di ammontare pari a mezza mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a 1 e non superiore a 6 mensilità. Orbene, in risposta al quesito sottopostoci, si sottolinea che, essendo stabilita ex ante dalla legge la somma che deve essere offerta al dipendente, non è possibile proporre davanti al conciliatore un diverso importo, seppur calcolato sulla base di quanto si verrebbe condannati a versare in caso di esito negativo della fase giudiziale. Sul punto però, si ribadisce che, trattandosi di piccola azienda, la somma che può essere offerta al dipendente è pari a 1 mensilità (e non 2 come per le aziende con più di 15 dipendenti). In conclusione, evidenziamo che l'offerta economica può essere formulata solo mediante consegna di un assegno circolare presso una delle sedi abilitata dalla legge per la gestione delle procedure di conciliazione e che l’accettazione dell’offerta economica da parte del lavoratore comporta automaticamente la sua rinuncia ad agire in giudizio con esclusivo riferimento alle rivendicazioni relative al licenziamento. Giampiero Falasca e Giulia Propersi

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