Rapporti di lavoro

Licenziamento per superamento del comporto: quali verifiche?

di Alberto Bosco

L'articolo 2110 del codice civile, per quanto qui interessa, dispone che, in caso di malattia, l'imprenditore ha diritto di recedere dal contratto a norma dell'art. 2118 c.c., decorso il periodo stabilito dalla legge, dagli usi o secondo equità (o più normalmente, una volta esaurito il periodo stabilito dal contratto collettivo).

L'articolo 2118 c.c. richiamato dispone che ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto a tempo indeterminato, dando il preavviso nel termine normalmente previsto da parte del contratto collettivo. In mancanza di preavviso, il recedente è tenuto a versare all'altra parte un'indennità equivalente all'importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso.

Va quindi evidenziato che il periodo di comporto – ossia il periodo durante il quale il lavoratore ammalato (che abbia regolarmente provveduto a certificare la propria assenza e che non abbia svolto altra attività incompatibile con lo stato di malattia) – non può essere licenziato è disciplinato dal contratto collettivo con le seguenti modalità:

Comporto “Secco”: Unico episodio morboso di lunga durata (per esempio: 180 giorni consecutivi di assenza per malattia)
Comporto “per sommatoria”: Pluralità di assenze per malattia la cui durata complessiva raggiunge il cd. termine interno (per esempio 180 giorni) nell'arco di tempo previsto, ossia il cd. termine esterno (per esempio 365 giorni, ovvero 1 anno solare).

Il computo delle giornate di malattia deve aver riguardo - salva l'esistenza di una diversa previsione contenuta nel contratto collettivo - anche ai giorni non lavorati (sabato, domenica, festività infrasettimanali) che cadono nel periodo di malattia, dovendosi presumere la continuità dell'episodio morboso (Cass. 23 giugno 2006, n. 14633).

Detto come procedere al calcolo, occorre ricordare che molti contratti collettivi prevedono un comporto “normale”, nonché uno comunemente definito come “prolungato” laddove si tratti di patologie oncologiche o, comunque di malattie che richiedano l'impiego di terapie salvavita: in questi casi, onde poter fruire del periodo di durata maggiorata, è indispensabile che il dipendente produca la certificazione prevista (normalmente quella rilasciata dalla ASL).

In presenza della prescritta certificazione, il datore è obbligato a concedere il prolungamento del periodo di comporto: tale estensione opera anche con riguardo all'aspettativa – normalmente non retribuita – eventualmente prevista dalla contrattazione.

Infatti, non pochi contratti collettivi prevedono che, in vista dell'esaurirsi del comporto, il lavoratore – allo scopo di evitare il proprio licenziamento - possa chiedere di fruire di un ulteriore periodo, appunto l'aspettativa, che può essere anch'essa normale o prolungata.

Per esempio, il CCNL Studi professionali - Confprofessioni (Consilp) stabilisce la durata del periodo di comporto per la generalità dei casi in 180 giorni (elevati a 270 giorni per le patologie oncologiche di rilevante gravità, ictus o sclerosi multipla gravemente invalidanti, distrofia muscolare, morbo di Cooley ovvero periodi di degenza ospedaliera determinati da trapianti chirurgici di organi vitali), cui va aggiunta un'aspettativa, a richiesta del lavoratore, della durata di 120 giorni (8 mesi per i gravi casi di cui appena sopra).

In assenza dell'aspettativa, ovvero dopo che sia anch'essa scaduta, il datore di lavoro può recedere, concedendo il preavviso ovvero monetizzandolo.

Ultima questione da analizzare è quella relativa alla richiesta del lavoratore di fruire di un periodo di ferie già maturate onde evitare il recesso. A parere di larga parte della giurisprudenza (da ultimo si veda Cass. 14 aprile 2016, n. 7433), il lavoratore ha la facoltà di sostituire alla malattia la fruizione delle ferie, maturate e non godute, per sospendere il decorso del periodo di comporto: grava, quindi, sul datore, cui è riservato il diritto di scelta del tempo delle ferie, di dimostrare - ove sia stato investito di tale richiesta - di aver tenuto conto, nell'assumere la relativa decisione, del rilevante e fondamentale interesse del lavoratore ad evitare la possibile perdita del posto per scadenza del periodo di comporto.

In mancanza di tale prova da parte del datore di lavoro, il recesso è illegittimo.

Superamento del comporto: la check list per il datore

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