Rapporti di lavoro

Ha prevalso la scelta di non alterare la riforma

di Giampiero Falasca

Il decreto legislativo correttivo appena varato dal Governo ha un approccio molto cauto all'intera riforma del lavoro, scaturita dalla legge delega n. 183/2014 e attuata con gli otto decreti legislativi emanati l'anno successivo.

Il provvedimento, infatti, apporta alle norme già esistente delle modifiche tutto sommato marginali, che devono essere studiate e approfondite ma che non stravolgono in maniera significativa gli istituti e le innovazioni già introdotte.

Questo approccio cauto si spiega, probabilmente, con la volontà di non alterare l'architettura complessiva di una riforma ancora tutta da sperimentante, ed è coerente con la natura stessa del decreto “correttivo”, per sua natura destinato ad occuparsi solo di errori, imprecisioni ed aggiustamenti specifici.

Rispetto ad alcuni temi, tuttavia, il decreto sarebbe potuto intervenire in maniera più incisiva, correggendo non solo i problemi formali, ma intervenendo anche su quegli aspetti che, già durante il primo periodo di applicazione, hanno manifestato dei problemi di funzionamento.

Si pensi al decreto 151/2015, ottimisticamente intitolato alle semplificazioni: su questo campo la riforma del lavoro è stata particolarmente timida, in quanto ha semplificato poco e male (con norme troppo .... complesse) il quadro esistente, e addirittura in alcuni casi ha complicato quello che prima era semplice.

Questo risultato abbastanza paradossale si è ottenuto con la normativa sulle dimissioni, intervenuta ad irrigidire un sistema che era già bilanciato ed offriva già tutele adeguate contro l'odioso fenomeno delle dimissioni in bianco (gestibili agilmente con la facoltà di revoca).

Maggiore coraggio si sarebbe potuto spendere anche in materia di apprendistato, che anche nel Dlgs 81/2015 ha scontato l'ormai tradizionale eccesso di regole, fonti e procedure, che impedisce un vero decollo del contratto.

Il decreto correttivo chiude, come accennato, la lunga fase di scrittura delle regole scaturenti dalla legge delega del 2014; è bene ricordare cosa prevedono gli otto decreti legislativi approvati sulla base di questa legge, in quanto tali norme hanno cambiato in misura importante l'assetto del mercato del lavoro italiano.

Uno dei primi decreti attuativi, entrato in vigore il 7 marzo del 2015, ha riformato la disciplina dei licenziamenti, introducendo per nuovi assunti, al posto del tradizionale articolo 18 dello statuto dei lavoratori, il regime delle “tutele crescenti” (Dlgs 23/2015).

Lo stesso giorno è stato approvato il decreto che ha ridisegnato il trattamento di disoccupazione (che ha anche cambiato nome, da Aspi a Naspi), che ha acquisito una durata (ma anche un valore economico) flessibile, direttamente proporzionale ai periodi di lavoro svolti prima del licenziamento.

Sempre il 7 marzo è entrato in vigore il decreto di riforma dei congedi parentali, pensato per rafforzare la tutela della genitorialità sui luoghi di lavoro.

Nel mese di giugno, è stato introdotto il c.d. codice dei contratti, un testo unico che ha riorganizzato le norme sui contratti di lavoro flessibile (Dlgs 81/2015); nel corpo dello stesso provvedimento hanno trovato posto la riforma delle mansioni e il superamento del lavoro a progetto, ritornato alle origini (è rinata la vecchia co.co.co.) ma con requisiti più rigorosi.

Infine, nel mese di settembre del 2015, sono entrati in vigore ben quattro provvedimenti: la riforma degli ammortizzatori sociali erogati in costanza di rapporto (Dlgs 148/2015), la riorganizzazione dei servizi ispettivi e la costituzione dell'ispettorato nazionale del lavoro (Dlgs 149/2015), la riforma delle politiche attive del lavoro (Dlgs 150/2015), e il decreto “semplificazioni”, sopra ricordato, che tra le varie norme ha modificato la disciplina dei controlli a distanza e ha introdotto la procedura di convalida telematica delle dimissioni (Dlgs 151/2015).

La riforma adesso è completa: è necessario che ora tutti gli attori del sistema si impegnino per applicarla in maniera coerente con lo spirito e le finalità definite dal legislatore, in modo da far funzionare fino in fondo la nuova architettura disegnata dai provvedimenti appena ricordati.

Il Governo e i suoi organi strumentali (a partire dalla neonata Anpal, ancora imbrigliata in troppi vincoli procedurali) devono mettere in campo politiche del lavoro capace di tradurre le nuove regole in azioni concrete; gli operatori del mercato devono rapidamente apprendere e tradurre in pratica le riforme; i giudici devono svolgere la propria azione di interpretazione delle leggi, cercando di non tradire la volontà del legislatore; gli organi e i soggetti, anche indipendenti, chiamati a studiare l'impatto sul mercato del lavoro delle nuove misure devono, in maniera rigorosa e onesta, dare conto degli effetti occupazionali delle nuove regole, senza farsi distrarre da visioni preconcette.

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