Rapporti di lavoro

Non risolto il nodo delle dimissioni per comportamento concludente

di Alberto Bosco

Ancora qualche novità – a seguito dell'entrata in vigore del decreto legislativo 185/2016 - per quanto riguarda le dimissioni e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro ai sensi di quanto già previsto dall'articolo 26 del Dlgs 151/2015: “entrano in gioco” i consulenti del lavoro ed escono i pubblici dipendenti, ma manca ancora l'attesa semplificazione per quanto riguarda le “dimissioni di fatto”.

In materia di dimissioni, solo per citare i provvedimenti più recenti, si sono registrati:
a) la Faq numero 47, pubblicata sul portale Cliclavoro che, con riguardo al recesso degli apprendisti al termine del periodo formativo, ha evidenziato l'obbligatorietà del rispetto della nuova procedura telematica (salvo che la presentazione delle dimissioni o la risoluzione consensuale non avvengano in sede protetta o presso le commissioni di certificazione);
b) il chiarimento del ministero con riguardo alle dimissioni degli sportivi professionisti, anch'essi soggetti alle nuove disposizioni, in quanto non esplicitamente esclusi;
c) la modifica alla Faq numero 6, a seguito del messaggio Inps 3755 del 20 settembre 2016, in cui si precisa che, ai fini della determinazione della decorrenza dei trattamenti pensionistici, la data di cessazione del rapporto di lavoro dipendente coincide con la data dell'ultimo giorno di lavoro, ovvero, con il giorno precedente a quello indicato nella sezione del modulo “Data di decorrenza delle dimissioni/risoluzione consensuale”.

Venendo alle “ultimissime” novità, l'articolo 5, comma 3, del decreto legislativo 185/2016, anzitutto modifica il comma 4 dell'articolo 26 del decreto legislativo 151/2015, il quale ora dispone che la trasmissione dei moduli telematici può avvenire anche tramite:

a) i patronati;
b) le organizzazioni sindacali;
c) i consulenti del lavoro;
d) le sedi territoriali dell'Ispettorato nazionale del lavoro;
e) gli enti bilaterali;
f) le commissioni di certificazione in base all’articolo 2, comma 1, lettera h; e all’articolo 76 del Dlgs 276/2003.

La novità riguarda l'inserimento sia dei consulenti del lavoro che delle sedi territoriali dell'Ispettorato nazionale del lavoro tra i soggetti autorizzati a trasmettere la comunicazione che contiene la volontà del lavoratore (o quella comune delle parti) di risolvere il rapporto di lavoro: ciò facilita la “logistica” del lavoratore, che potrà quindi recarsi anche presso un consulente del lavoro per formalizzare le dimissioni, venendo così riconosciute terzietà e professionalità degli iscritti al relativo Ordine (dato il tenore letterale della norma, deve ritenersi che restino invece escluse altre categorie, quali avvocati e commercialisti).
Viene poi inserito il comma 8-bis, il quale dispone che la nuova procedura non riguarda i rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni indicate all'articolo 1, comma 2, del Dlgs 165/2001.

E' invece rimasta lettera morta la previsione contenuta nell'articolo 1, comma 5, lettera g, della legge 183/2014 (legge delega del Jobs Act), che ha affidato al governo il compito di modificare la normativa vigente mediante la previsione di modalità semplificate per garantire data certa nonché l'autenticità della manifestazione di volontà della lavoratrice o del lavoratore in relazione alle dimissioni o alla risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, «anche tenuto conto della necessità di assicurare la certezza della cessazione del rapporto nel caso di comportamento concludente in tal senso della lavoratrice o del lavoratore»: proprio tale ultima parte non è stata in alcun modo attuata, dal che ne deriva che nessuna efficacia risolutiva «implicita e concludente» può essere attribuita alla “latitanza” del lavoratore.

In tal caso, a fronte dell'assenza ingiustificata di un dipendente, al datore di lavoro non resta altra strada che quella del recesso disciplinare per tale ragione, con conseguente obbligo di contestazione dell'addebito in forma scritta, rispetto del termine a difesa (minimo 5 giorni, salvo diversa previsione del contratto collettivo), rischio di impugnazione e, soprattutto, pagamento del cd. ticket di licenziamento (che, nel caso di specie, pare davvero ingiustificato).

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