Rapporti di lavoro

Precari Pa, una catena da spezzare per superare l’emergenza

di Gianni Trovati

La riforma del pubblico impiego che la scorsa settimana ha ottenuto la prima approvazione del governo punta ad assumere 50mila precari storici della Pubblica amministrazione. E arriva dopo le 76mila stabilizzazioni che secondo la Ragioneria generale sono state prodotte dai predecessori del piano-Madia. Numeri imponenti, che vanno aggiunti alle oltre 11mila ricollocazioni degli «esuberi» provinciali, ai 7mila forestali spostati nell’Arma dei Carabinieri e alle altre forme di mobilità più o meno straordinaria che stanno accompagnando questi anni difficili per la nostra pubblica amministrazione. Nel loro insieme, queste cifre dicono due cose: entrare negli uffici pubblici con la strada ordinaria che porta dal concorso all’assunzione è diventato via via più difficile, e le promesse di «superamento definitivo» del precariato che hanno accompagnato le ultime ondate di stabilizzazioni si sono dimostrate vane.

La prova del nove è nel rosario di norme che sono finite in «Gazzetta Ufficiale» per affrontare lo stesso tema: in tempi recenti la macchina delle stabilizzazioni è stata avviata dal secondo governo Prodi (con la Finanziaria del 2006 e il rilancio della manovra 2007), rilanciata da Berlusconi (decreto D’Alia del 2009), ripresa da Monti (legge di Stabilità per il 2013) e infine da Renzi, con il primo decreto-Madia (il 101 del 2013). Ma mentre varie mani aprivano le porte verso il posto fisso, nessuna si preoccupava di chiudere quelle che dall’esterno portano verso i contratti precari, con il risultato di creare una catena potenzialmente infinita di contratti flessibili, aspettative di stabilizzazioni, piani straordinari e creazione di nuovo precariato. Il tutto sotto gli occhi sempre più perplessi di un’Unione europea che minaccia una procedura d’infrazione anche su questo punto.

La nuova riforma che ora inizia il proprio cammino fra Parlamento, Consiglio di Stato e confronto con gli enti territoriali ha il pregio di provare a spezzare la catena. Le amministrazioni che avvieranno il piano straordinario, prima di tutto, non potranno firmare nuovi contratti flessibili. E più in generale si chiuderanno anche nel pubblico impiego gli spazi per le collaborazioni coordinate e continuative, già tramontate da anni nel settore privato. Basterà?

Le norme, come sempre nel pubblico impiego, possono solo avviare un percorso, che per essere completato ha bisogno di un cambio radicale nella governance dell’amministrazione. Per attuarlo bisogna far uscire la Pa dai lunghi anni di «emergenza» che tra misure anti-crisi e riforme più o meno riuscite degli assetti pubblici hanno creato una sorta di eccezionalità permanente. Un altro paradosso italiano da abbandonare al più presto.

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