Rapporti di lavoro

La Fondazione studi e le criticità del Ddl sulle modalità di pagamento delle retribuzioni

di Rossella Quintavalle

Nell'approfondimento del 3 marzo, la Fondazione studi dei consulenti del lavoro ha rilevato alcune criticità emerse dalla lettura del Ddl recante le «disposizioni in materia di modalità di pagamento delle retribuzioni ai lavoratori» presentata il 23 maggio 2013.

Sebbene l'intento della proposta di legge sia degno di approvazione e largamente condivisibile, non bisogna tuttavia appesantire le incombenze a carico dei datori di lavoro già carichi di adempimenti abbastanza onerosi. La finalità del provvedimento è l'introduzione di un meccanismo antielusivo, consistente nel rendere obbligatorio il pagamento delle retribuzioni attraverso gli istituti bancari o gli uffici postali con mezzi prestabiliti, ponendo specifici obblighi in capo al datore di lavoro e/o committente. In tal modo non sarebbe più possibile, per alcuni datori di lavoro, retribuire i lavoratori in misura inferiore ai minimi fissati dalla contrattazione collettiva costringendoli, sotto minaccia di licenziamento o non assunzione, a firmare buste paga differenti e regolari.

Le principali novità del Ddl in esame (atto Camera 1041) coinvolgono i datori di lavoro investendoli di nuovi obblighi che potrebbero, tuttavia, essere attenuati rispetto a quando proposto, nell'ottica di una necessaria semplificazione. Per ciò che riguarda le modalità di pagamento delle retribuzioni indicate all'articolo 1, occorre ricordare, affermano gli esperti della Fondazione lavoro, che relativamente al pagamento in contanti presso lo sportello bancario o postale, è necessario coordinarsi con quanto stabilito dal comma 1 bis dell'articolo 49 del Dlgs 231/2007 in merito alla soglia limite del pagamento in contanti che, per i dipendenti privati, è pari a 3.000 euro. Non sarà tuttavia più possibile per i datori di lavoro titolari di partita Iva corrispondere la retribuzione per mezzo di assegni da essi emessi o di somme contanti di denaro, qualunque sia la tipologia del rapporto di lavoro instaurato; la firma sulla busta paga apposta dal lavoratore, per di più, non costituisce prova dell'avvenuto pagamento della retribuzione.

L'obbligo imposto al datore di lavoro e/o committente, all'articolo 2, di inserire nella comunicazione obbligatoria da inviare al Centro per l'impiego all'atto di instaurazione del rapporto lavorativo gli estremi dell'istituto bancario o dell'ufficio postale che provvede al pagamento delle retribuzioni, risulta tuttavia un inutile adempimento e di difficile realizzazione per il fatto che il datore di lavoro potrebbe utilizzare banche differenti mese per mese e risulterebbe ancor più complicato doversi ricordare di comunicare ogni variazione di cambio di istituto di credito o ufficio postale con obbligo, tra l'altro, di darne comunicazione scritta tempestiva e obbligatoria al lavoratore. Ancor più complessa appare l'incombenza di dover annullare l'ordine di pagamento all'istituto bancario o all'ufficio postale solo con contestuale trasmissione agli stessi di copia della lettera di licenziamento o delle dimissioni del lavoratore; tale disposizione sembrerebbe dare per scontata l'esistenza di una disposizione continuativa dell'ordine di pagamento non considerando che gli stipendi mensili non sono sempre dello stesso importo e, nell'aggiungere “fermo restando l'obbligo di effettuare tutti i pagamenti dovuti dopo la risoluzione del rapporto di lavoro” sembra dimenticare l'esistenza dell'obbligo del pagamento delle retribuzioni insito nel sinallagma contrattuale, lasciando intendere la non efficacia delle nuove disposizioni in relazione ai pagamenti successivi alla cessazione del rapporto di lavoro.

Altre incongruenze sono rilevate nell'approfondimento in esame, come ad esempio il richiamo ai collaboratori a progetto nonostante l'abrogazione di tale tipologia contrattuale, e la mancanza di regolamentazione dei pagamenti inerenti le conciliazioni sottoscritte nelle sedi protette ivi compresa l'offerta di conciliazione prevista dall'articolo 6, comma 1, del Dlgs 23/2015.

E' da rilevare, inoltre, che la disapplicazione di quanto proposto nel Ddl è soggetta a pesanti sanzioni; il datore di lavoro o committente che viola l'obbligo di cui all'articolo 1, comma 1, (corresponsione della retribuzione ai lavoratori, nonché ogni anticipo di essa, attraverso un istituto bancario o un ufficio postale) è sottoposto alla sanzione amministrativa pecuniaria consistente nel pagamento di una somma da 5.000 a 50.000 euro.

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