Rapporti di lavoro

Tfr «bloccato» nel fondo di tesoreria

di Barbara Massara

Le aziende che hanno indebitamente versato il trattamento di fine rapporto al Fondo di tesoreria sono in attesa delle istruzioni da parte dell’Inps per procedere al recupero del credito corrispondente.

Si tratta di una delicata situazione, che l’istituto di previdenza non ha ancora ufficialmente affrontato, ma che riguarda molti datori di lavoro privati che dal 2007 hanno erroneamente versato il Tfr dei dipendenti che non avevano scelto la destinazione in favore dei fondi pensione complementare.

Queste aziende non sono tenute allo smobilizzo del Tfr come previsto dall’articolo 1, comma 755 e seguenti, della legge 296/2006 in ragione delle loro dimensioni, in quanto non raggiungevano i 50 dipendenti (valore medio) alla data del 31 dicembre 2006 ovvero nei 12 mesi successivi alla loro costituzione (si veda la circolare Inps 70/2007).

La rilevanza economica e sociale di questo problema nasce dal fatto che la situazione si è protratta per quasi 10 anni durante i quali l’Inps ha incassato le somme provvedendo invece a comunicare che erano indebite solo verso la fine del 2016. Le aziende, pertanto, pur avendo sbagliato, hanno confidato nella correttezza del proprio comportamento in quanto i loro versamenti nonché i relativi flussi uniemens venivano regolarmente acquisiti dall’istituto.

Questo, però, è proseguito fino a maggio dello scorso anno quando, con il messaggio 2078/2016 l’Inps ha precisato che non era possibile procedere al versamento del Tfr per le aziende sprovviste del codice di autorizzazione 1R. E nonostante le richieste di attribuzione del codice attraverso il cassetto previdenziale, le aziende, in mancanza di un pronto riscontro, per non bloccare le buste paga e la conseguente regolarità contributiva, hanno comunque trasmesso i flussi con una piccola forzatura che veniva consentita dalla procedura.

Tutto ciò fino a ottobre 2016 circa, quando la procedura ha iniziato a inibire l’invio di flussi uniemens privi di codice 1R che contenevano il versamento del contributo Tfr nonché l’eventuale recupero di corrispondenti prestazioni a seguito dell’erogazione di anticipazioni e/o saldi di Tfr.

In questi mesi le aziende hanno atteso dall’Inps istruzioni su come poter recuperare quei crediti, pari ai contributi Tfr indebitamente versati, anche alla luce della prossima prescrizione decennale.

In assenza di indicazioni ufficiali i datori di lavoro e i consulenti si sono singolarmente recati presso le sedi territorialmente competenti, ovvero hanno presentato specifiche istanze all’Inps (anche con l’obiettivo di bloccare la prescrizione), ma quest’ultimo ha risposto di aver rimesso la questione al ministero del Lavoro e di essere in attesa a sua volta di risposte ufficiali da poter condividere con le aziende.

Esiste sicuramente un problema di natura tecnica ingente perché riguarda 10 anni di flussi trasmessi. Al riguardo la speranza è che l’Inps preveda una procedura semplificata che non obblighi le aziende a variare per ciascun dipendente interessato 12 flussi uniemens per quasi 10 anni (quindi fino a 120 flussi per singolo dipendente). Inoltre, le aziende che hanno proceduto al recupero delle prestazioni nel periodo transitorio maggio-ottobre 2016 rischiano di essere considerate “contributivamente” non regolari.

Ma il problema più grave e soprattutto più urgente è di natura economico-finanziaria, in quanto nell’attesa del recupero del credito dei dipendenti possono cessare il rapporto di lavoro, maturando il diritto alla liquidazione del Tfr, oppure possono richiedere delle anticipazioni. Ma i relativi fondi sono già stati smobilizzati in quanto sono stati versati all’Inps, ma al datore di lavoro è precluso il recupero degli stessi attraverso il flusso uniemens.

Ma poiché di questa situazione non può rimetterci il dipendente, le aziende finanziariamente più forti stanno anticipando queste somme nell’attesa di sbloccare il corrispondente credito verso l’Inps (pur temendo di comportarsi in modo difforme dalle future indicazioni dell’istituto), mentre quelle in difficoltà non sanno come assolvere al proprio obbligo nei confronti dei dipendenti. Ecco perché un riscontro ufficiale sull’argomento è diventato veramente urgente sia per le aziende che per i lavoratori.

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