Rapporti di lavoro

Pa, la carica delle 90mila assunzioni

di Gianni Trovati e Claudio Tucci

Mentre la riforma della pubblica amministrazione ora all’esame del Parlamento promette di rivoluzionare il sistema delle assunzioni pubbliche, abbandonando la vecchia pianta organica per misurare i nuovi ingressi sulla base dei fabbisogni effettivi, cresce alle porte della Pa la pressione per salire sull’ultimo treno del turn over tradizionale. Nei rami principali del settore pubblico si possono stimare quest’anno tra le 80mila e le 95mila assunzioni, con il numero definitivo che dipende da come si assesteranno le mosse nei due comparti dove è più forte la pressione per nuovi ingressi aggiuntivi: la scuola, prima di tutto, dove oltre al normale turn over (le stime parlano di circa 20-25mila cattedre), si aggiungeranno i posti che si convertiranno da «organico di fatto», finora assegnati a un supplente, a «organico di diritto», e quindi da coprire a tempo indeterminato, calcolati dal ministero dell’Istruzione in 25mila mentre all’Economia tagliano la stima a 11mila; e i Comuni, che attendono un intervento su misura per loro. In base alle previsioni della riforma, poi, il passaggio dal vecchio al nuovo regime dovrebbe portare con sé 50mila stabilizzazioni in tre anni. Ma procediamo con ordine.

Enti locali

Il primo ampliamento degli spazi per nuove assunzioni riguarda i Comuni, e dovrebbe arrivare nei prossimi giorni come piatto forte del decreto enti locali in costruzione ormai da settimane. Ad alimentare le richieste dei sindaci c’è il fatto che in questi anni i Comuni hanno subito un doppio carico. Il primo, condiviso con gli altri settori dell’amministrazione, è rappresentato dai limiti stretti sul turn over, che negli enti sopra i 10mila abitanti (dove si concentra il 72% del personale comunale) permettono di dedicare a nuove assunzioni un quarto della spesa di personale, e lasciano spazi più ampi solo nei paesi più piccoli (turn over al 75% fra mille e 9.999 abitanti, e al 100% sotto i mille residenti). Ma nel 2015-2016 il turn over ordinario si è bloccato del tutto, perché i sindaci (come le Regioni) hanno dovuto dedicare le proprie possibilità di assumere alla ricollocazione degli esuberi in arrivo dalle Province e dalle Città metropolitane, con un enorme giro di valzer del personale che si è concluso solo alla fine dello scorso anno.

Di qui i correttivi che dovrebbero arrivare con il decreto enti locali, e che in base alle ipotesi tecniche elaborate in questi giorni potrebbero alzare dal 25 al 50% il turn over nei Comuni più grandi e portarlo fino al 100% in quelli più piccoli che oggi si fermano al 75 per cento. In questo caso, sulla base della distribuzione attuale del personale fra le diverse classi demografiche, si possono stimare almeno 5mila assunzioni in più. Se invece il confronto politico portasse a far salire al 75% il turn over anche negli enti più grandi, i possibili nuovi ingressi aggiuntivi arriverebbero a quota 8-9mila.

Scuola

Dopo il maxi-piano che, nel 2015, ha stabilizzato circa 90mila professori (riportando il rapporto alunni/insegnanti a 9 a 1), a settembre scatterà una nuova ondata di assunzioni: oltre al turn over (da coprire al 50% stabilizzando precari storici delle «Gae» e al restante 50% da concorsi) si conteggeranno anche le cattedre trasformate da «organico di fatto» in «organico di diritto» (solo questa misura costa all’Erario 400 milioni l’anno, stanziati con la precedente legge di Bilancio). Ma si rischia di non finirà qui: fino a quando non decollerà il nuovo sistema di formazione iniziale dei docenti previsto da uno dei Dlgs attuativi della Buona Scuola, scatterà una fase transitoria nella quale torneranno i concorsi “semplificati” che potrebbero portare in cattedra stabilmente almeno ulteriori 60mila precari (in larga fetta abilitati delle seconde fasce d’istituto, gli altri addirittura non abilitati con 36 mesi di servizio alle spalle). Questo meccanismo “ transitorio” dovrebbe durare 4-5 anni in attesa dell’arrivo dei docenti formati con il nuovo sistema. Il punto è che, come accaduto con la riforma Renzi-Giannini, non entreranno a scuola i più bravi (le selezioni, c’è da immaginare, saranno piuttosto soft), e certamente non i giovani che vedranno, così, allungarsi sine die le attese per la cattedra. Inoltre, non si risolvono i problemi attuali della scuola: i precari sono al Sud, le cattedre al Nord. E, quindi, anche con questo meccanismo, da Bologna in su continueremo ad avere migliaia di cattedre scoperte anche per i prossimi anni (da coprire con supplenti), specie nelle materie scientifiche; e al Centro-Sud uno stock di docenti di ruolo, eccessivi rispetto al fabbisogno, che finiranno “parcheggiati” in sala docenti.

Pa centrale

Ma gli anni dell’emergenza che hanno guidato in questi anni le decisioni sul personale hanno costellato la pubblica amministrazione di situazioni eccezionali difficili da affrontare con regole ordinarie. I numeri, in questi casi, sono più piccoli, ma spesso si concentrano in snodi strategici per l’attività della nostra pubblica amministrazione.

Il caso più evidente è quello dell’agenzia delle Entrate, al centro di ogni strategia di governo che punta sulla lotta all’evasione. La vicenda è quella del concorso per 403 dirigenti, resa tormentata dai ricorsi contro la scelta dell’Agenzia di utilizzare i bandi già esistenti e bloccati dal contenzioso amministrativo, che si è conclusa con l’annullamento in autotutela deciso nei giorni scorsi. Resta il fatto, però, che l’agenzia ha bisogno di queste figure per sostituire in modo strutturale i dirigenti interessati dalla proroga ripetuta più volte prima di essere bocciata dalla Corte costituzionale, e portare avanti in tanti compiti aggiuntivi affidati in questi anni all’amministrazione finanziaria, dalla voluntary alle oltre 4.500 istanze di patent box. Simile è la situazione dell’Anas, che chiede da tempo di poter assumere almeno 100 tecnici progettisti per realizzare davvero il rilancio delle opere sulla rete stradale su cui dovrebbe intervenire anche un capitolo della manovrina in arrivo con la correzione da 3,4 miliardi per rispondere alle richieste di Bruxelles.

La stabilizzazione

La ripresa delle assunzioni nel pubblico impiego è naturalmente una buona notizia per chi da anni tenta di ottenere un posto di lavoro stabile negli uffici dell’amministrazione ma si è scontrato con i limiti agli ingressi prima e con le mobilità obbligatorie poi. Nelle graduatorie in vigore, e prorogate per l’ennesima volta dall’ultimo decreto di fine anno, ci sono ancora oltre 4mila vincitori di concorso in attesa del posto a cui hanno diritto e circa 150mila «idonei», persone cioè che non hanno vinto il concorso ma sono state giudicate comunque adatte a ricoprire la funzione messa a bando. Negli uffici pubblici, però, lavorano secondo i dati della Ragioneria generale oltre 81mila precari, titolari di contratti di collaborazione o di somministrazione oppure lavoratori socialmente utili.

A loro, il decreto sul pubblico impiego che tornerà sui tavoli del Governo per l’approvazione definitiva dopo l’esame delle commissioni parlamentari dedica un piano straordinario triennale di stabilizzazioni che in base ai calcoli del governo potrebbe coinvolgere fino a 50mila persone. Per sperare nella stabilizzazione, secondo il testo approvato in prima lettura poco più di un mese fa, occorre aver maturato tre anni di servizio negli ultimi otto anni all’interno dell’amministrazione che procede alle assunzioni, per cui i numeri effettivi dipenderanno dalla condizione dei singoli uffici pubblici.

Vedi il grafico: La Pubblica amministrazione torna ad assumere

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