Rapporti di lavoro

Il coworking scommette su multinazionali e Pmi

di Filomena Greco

Un fenomeno in crescita e, soprattutto, in trasformazione. Il co-working coinvolge in Italia decine di migliaia di lavoratori: autonomi, giovani professionisti e, sempre di più, filiali di multinazionali, Pmi o interi uffici. Un fenomeno che incrocia i percorsi di smart working avviati dalle imprese e che si inserisce nella fase di crescente digitalizzazione dei processi produttivi. Tra le principali realtà attive, multinazionali come il Gruppo IWG, International Workplace Group, a cui fa capo Regus: realtà con 3mila sedi nel mondo e 37 centri in Italia. O progetti «tematici» come Piano C, il coworking per donne-mamme fondato da Riccarda Zezza nel 2012. E poi ancora Copernico, in capo al gruppo Windows for Europe, Cowo e Talent Garden, l’azienda fondata cinque anni fa a Brescia e focalizzata sull’It. Difficile fare il punto sui numeri: l’Osservatorio sullo smart working del Politecnico di Milano ha censito in Italia 250mila lavoratori “agili” ma il fenomeno dei co-worker in realtà è più variegato. Interessa autonomi, professionisti, pmi, aziende, multinazionali.

L’offerta di spazi – dalla scrivania all’ufficio di rappresentanza - cresce e si diversifica. Tanto che lo stesso concetto di co-working si trasforma – come raccontano i protagonisti – in qualcosa che somiglia di più a una business community che non semplicemente a spazi di lavoro condivisi. È proprio l’attenzione verso una clientela giovane e la voglia di enfatizzare il valore aggiunto della rete e della creazione di una community che ha spinto IWG a investire su un nuovo brand, «Spaces», insegna che ha debuttato dieci giorni fa a Milano nell’area di Porta Nuova e che si sta diffondendo velocemente in Usa, Uk, Francia, Spagna e Singapore. «Per l’Italia abbiamo scelto l’area più dinamica di Milano – sottolinea Emanuele Arpini regional marketing manager di Spaces– centro culturale ed economico insieme. Abbiamo creato uno spazio dedicato soprattutto a free lance, Pmi, multinazionali nei settori del design e dell’Information Technology e più in generale a chi si occupa di innovazione, con aree pensate per il networking e una forte attenzione alla community, ossia un luogo innovativo dove le idee si sviluppano, i business crescono e le relazioni si evolvono». Posizione esclusiva e servizio personalizzato «rendono lo Spaces di Porta Nuova un ambiente lavorativo ricco di energia creativa» aggiunge Arpini, con una grande attenzione alla cultura. Conta 650 postazioni di lavoro di cui un centinaio nella social area – lo spazio condiviso – oltre a otto sale riunione che diventano un'unica sala conferenze da cento posti.

Lo spirito della community e la vocazione, di fatto esclusiva per, l’Information Technology caratterizza Talent Garden, come racconta Davide Dattoli, co-fondatore e ceo della società . I campus Talent Garden costituiscono il principale network di spazi di co-working in Europa dedicato ai professionisti del digitale e della tecnologia. Talent Garden ha 17 campus in 5 paesi europei, con più di 1.500 professionisti “affiliati”. In autunno, poi, la società ha avviato un aumento di capitale da 12 milioni di euro per finanziare la futura espansione. L’obiettivo è aprire una decina di nuovi spazi in Europa entro la fine del 2018, per un totale di 70mila metri quadri e 8mila nuovi talenti da inserire nel network. Numeri ambiziosi, «ma che disegnano un piano di crescita importante per una società che ha chiuso a 5 milioni di euro il 2016 e che di anno in anno ha raddoppiato numeri e fatturato» aggiunge Dattoli. La prossima è una nuova sede a Torino, dove Talent Garden aprirà a maggio un secondo campus in collaborazione con la Fondazione Agnelli: 5.500mq di spazi tecnologicamente all’avanguardia con 350 posti disponibili. Una operazione da un milione di euro di investimento, che si affianca ad una nuova apertura in Europa. Tra gli utenti di Talent Garden, freelance, startup, Pmi digitali o anche grandi imprese, con le proprie aree dedicate all’innovazione.

Completamente diverso il business model su cui si fonda Cowo, piattaforma fondata nel 2008 da Max Carraro e Laura Coppola e che conta 127 spazi affiliati in 72 città. Una sorta di franchising che però, come spiega Max Carraro, «non prevede una percentuale sugli utili ma semplicemente una fee annuale». Nella rete di Cowo ci sono studi professionali, case editrici, realtà industriali associazioni come Confartigianato o Cna. «L’idea guida dei nostri associati - aggiunge - è quella di condividere spazi ma soprattutto esperienze professionali con altri lavoratori».

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