Rapporti di lavoro

Per i consulenti la sfida delle nuove competenze

di Mauro Pizzin

La maggior parte dei consulenti del lavoro è titolare unico del suo studio, si interfaccia con le Pmi e considera l’autonomia e l’indipendenza nei tempi e negli obiettivi di lavoro uno degli elementi più positivi della sua attività professionale, ritenuta particolarmente dinamica.

A dirlo è l’indagine realizzata dal Censis , con il patrocinio del Consiglio nazionale dell’Ordine dei consulenti del lavoro, che sarà presentata al Teatro Augusteo di Napoli nel corso del 9° Congresso nazionale dei professionisti, in programma da oggi a sabato 29 aprile.

La ricerca - intitolata “Crescita e consolidamento nel futuro dei consulenti del lavoro” - ha coinvolto 2.751 professionisti ripartiti per classi di età e ha affrontato i temi centrali della vita professionale, ossia i valori e l’identità del professionista, i profili organizzativi dell’attività professionale, il mercato di riferimento, la situazione attuale, la formazione, la previdenza, l’assistenza e il nuovo welfare.

Dalle risposte fornite dagli intervistati emerge anzitutto una sostanziale tenuta della professione: a dispetto della crisi, negli ultimi due anni il 38,3% ha dichiarato che il suo fatturato è rimasto invariato e il 25,6% ha dichiarato ricavi in aumento contro il 32, 9% che denuncia un calo.

Risultati puntellati ancor oggi per il 59,9% degli intervistati soprattutto dai ricavi collegati all’amministrazione del personale legata alle paghe e alla previdenza del lavoro dipendente, anche se per i consulenti del lavoro aumenta l’incidenza sui ricavi della consulenza giuridica ed economica sui rapporti di lavoro (23,9%) e della consulenza fiscale, finanziaria e societaria (10,6%): un ampliamento di mansioni che in futuro è destinato a diventare sempre più evidente.

Il risultato complessivamente positivo sul fronte dei fatturati, ottenuto superando problemi rilevanti che includono non solo il mancato o ritardato pagamento da parte della clientela – problema principale per il 73,9% dei consulenti – ma anche il peso crescente dei costi per adempimenti burocratici (47%) e l’aumento della concorrenza sleale (40,4%).

Nonostante alcune oggettive difficoltà, l’indagine indica che i consulenti mostrano comunque un moderato ottimismo per le attività future: il 34,9%, in particolare, non ravvisa elementi di indebolimento o deterioramento della propria condizione professionale, il 18,1%, malgrado la crisi, considera positiva la propria condizione, l’1,3% afferma che la propria condizione è molto migliorata. In questo contesto, l’ottimismo caratterizza soprattutto la componente più giovane della professione: il 52,2% dei consulenti fino a 40 anni prevede di migliorare la propria condizione nel prossimo biennio contro il 26,7% degli ultracinquantenni.

Sempre per lo stesso arco di tempo, quando si passa ad analizzare gli obiettivi prioritari di sviluppo della propria attività professionale (molto parcellizzati) gli intervistati indicano nell’ampliamento del bacino della clientela (7,8%) la principale leva di sviluppo, seguita dal miglioramento dell’organizzazione interna dello studio (6,6%) e dalla formazione delle risorse dello studio (6,6%); un atteggiamento più freddo si riscontra, invece, per la costituzione di società tra professionisti (3,6%) e per la proiezione sul mercato internazionale (3,1%).

Accanto alla visione individuale della professione, ai consulenti è stato chiesto, poi, di indicare il quadro di azioni ritenuto necessarie per migliorare il contesto generale in cui opera la categoria. Su questo fronte, il supporto alla formazione continua dei professionisti è stato indicato dal 37,1% dei rispondenti, mentre il 25,7% ha ritenuto importante il potenziamento delle infrastrutture tecnologiche per l’attività di studio e per i rapporti con gli enti.

Il mix dei ricavi

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