Rapporti di lavoro

Agenti imprenditori, non lavoratori autonomi

di Franco, Toffoletto

Non è così semplice comprendere a chi si applichi il «Jobs act degli autonomi», approvato il 10 maggio scorso, che prevede l'introduzione di diverse misure finalizzate a rafforzarne le tutele.

L'articolo 1, dopo aver precisato che la disciplina trova applicazione a tutti i rapporto di lavoro autonomo di cui al Capo III del Codice civile, ovvero al contratto d'opera (articoli 2222-2228) e alle professioni intellettuali (articoli 2229-2238), prosegue includendo anche «i rapporti di lavoro autonomo che hanno una disciplina particolare ai sensi dell'articolo 2222 del Codice civile», ovvero quei rapporti di lavoro autonomo che hanno una normativa specifica come, per fare l'esempio più importante, gli agenti il cui rapporto è disciplinato dagli articoli 1742-1753 del Codice civile. Ebbene se la nuova norma si fermasse qui, essa troverebbe applicazione anche per i contratti di agenzia.

Ma non è così perché l'articolo 1 prosegue al comma 2 precisando che: «Sono esclusi dall'ambito dell'applicazione del presente capo gli imprenditori, ivi compresi i piccoli imprenditori di cui all'articolo 2083 del Codice civile». Tale esclusione certamente comprende gli agenti, perché questi, per opinione dominante, sono sempre imprenditori, “normali”, ex articolo 2082, o “piccoli”, ex articolo 2083 del Codice civile.

Per comprenderlo bisogna partire da lontano. Scriveva il Bigiavi 1947: «Non esiste un concetto autonomo di lavoratore autonomo distinto da quello di piccolo imprenditore: esiste un concetto autonomo di lavoro autonomo (contratto d'opera) distinto (oltre che dal lavoro subordinato) dal contratto d'appalto; e la differenza fra i due contratti (quando l'assuntore sia un professionista e l'attività svolta non sia intellettuale od artistica) risiede soltanto in questo: che nel contratto d'appalto l'assuntore è un imprenditore normale, mentre nel contratto d'opera (lavoro autonomo) è un piccolo imprenditore; e la distinzione è addirittura imposta dalla relazione al Codice civile (n. 914), dove è detto che “il contratto d'opera riguarda il tipo di locatio operis più elementare, in cui il conductor operis presti un lavoro esclusivamente o prevalentemente proprio e, come tale, non rivesta la figura d'imprenditore (prestatore d'opera intellettuale o artistica) oppure rivesta la figura di piccolo imprenditore (artigiano)”. Dove si vede che il lavoratore autonomo (cioè colui che assume professionalmente contratti d'opera) è sempre un imprenditore (piccolo), quando la natura della sua attività non gli precluda l'acquisto di tale qualità. In altre parole si deve ripetere che, se autonomo è il contratto di lavoro autonomo, non autonomo è il concetto di lavoratore autonomo (...) perché il concetto di lavoratore autonomo implica la reiterazione, la professionalità e, quindi, si copre con quello di imprenditore».

Basta confrontare la disciplina del contratto d'appalto e del contratto d'opera per rendersi conto della assoluta similitudine dei due tipi contrattuali che si distinguono soltanto per le caratteristiche di colui che si obbliga all'esecuzione dell'opera. In sintesi: se è un imprenditore “normale”, si tratta di un contratto di appalto; se è un piccolo imprenditore ex articolo 2083 si applica la disciplina del contratto d'opera. Quindi, senza dubbio, il “lavoratore autonomo” è per definizione sempre un imprenditore (piccolo).

Pertanto, la previsione - quale quella del comma 2 della norma in esame - di una disciplina differenziata tra lavoratore autonomo e piccolo imprenditore è del tutto priva di qualsivoglia sostegno giuridico.

Ma torniamo agli agenti. E facciamo un altro passo indietro: all'analisi fatta dal Saracini nel 1987, in linea con tutta la dottrina prevalente. Si legge: «... il limite che separerebbe l'agente “piccolo imprenditore” dall'agente “lavoratore autonomo” non è individuabile per la semplice ragione che non esiste. L'agente, anche quando non si tratti di una società commerciale, è sempre e necessariamente un imprenditore, piccolo o meno».

In conclusione, la nuova norma, che non può che essere letta utilizzando le esistenti definizioni del Codice civile, è assai contraddittoria. Da una parte essa dispone che la nuova normativa si applicherebbe anche ai contratti tipici disciplinati dal libro IV del Codice civile, tra cui anche il rapporto di agenzia (al quale invece, certamente, non si applicano le norme degli articoli 2222 e seguenti in virtù dell'esclusione prevista dallo stesso articolo 2222). Ma dall'altra, con un comma specifico, esclude espressamente l'applicazione della successiva disciplina agli imprenditori, normali o piccoli, tra i quali, indubbiamente, sono ricompresi gli agenti. E così, tutte le norme contenute nel Capo della nuova normativa non si possono applicare al contratto di agenzia. Resta da capire cosa significhi esattamente il comma 1. Ma l'economia di questo scritto non consernte ulteriori indagini.

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