Rapporti di lavoro

Axa, niente desk e orari di lavoro

di Cristina Casadei

Verrebbe proprio da dire la compagnia è mobile per iniziare a raccontare la new way of working del gruppo assicurativo Axa in Italia. Dopo il processo di riorganizzazione che ha portato alla nascita di Axa One Italy, l’azienda ha percorso un complesso sentiero per arrivare ad essere quella che è oggi. E cioè un’azienda dove l’età media è di 44 anni e mezzo, con un abbassamento di un anno e mezzo dovuto ai prepensionamenti, come da accordo sindacale del 2016, ma soprattutto un’azienda difficile da riconoscere rispetto appena ad un paio di anni fa, dopo la cura basata sulla riorganizzazione, il rinnovo delle sedi - a breve anche quella di Milano verrà rivista - e su forti investimenti in formazione e in tecnologia, sulle infrastrutture ma anche per dotare i lavoratori di un computer portatile.

Nel progetto è previsto che «nessuno abbia un desk assegnato, neppure l’amministratore delegato. In azienda ci si muove a seconda delle attività da svolgere», spiega il direttore risorse umane, organizzazione e change management, Maurizio Di Fonzo. Così ci sono le zone di concentrazione o le zone dove predomina la tecnologia. E nel mezzo sale e spazi dove, prenotando online, ognuno svolge il suo lavoro. Costi ridotti, produttività aumentata. Manca poco al trasferimento completo dei dipendenti nella nuova sede di Roma e il manager racconta che «nella capitale la compagnia aveva 3 sedi. Ci siamo trasferiti in una sede transitoria e abbiamo ristrutturato una sola sede, in base alle esigenze del nuovo modo di lavorare, dove lo smart working è diventato strutturale». Così a Roma le sedi sono passate da 3 a una.

Nella new way of working di Axa ci sono tecnologia, efficienza, riduzione dei costi, produttività, ma c’è soprattutto lo smart working, il perno attorno al quale ruota il progetto. Dopo il buon esito del pilota nel 2016, oggi questa opzione è stata estesa a tutti i lavoratori fino a 2 giorni alla settimana. Con tanto di accordo siglato con il sindacato che in un primo momento non aveva condiviso il progetto. Certamente è un modo di lavorare molto diverso da quello portato dai badge aziendali che segnano l’orario di ingresso e quello di uscita. «Abbiamo cercato di semplificare più possibile l’adesione allo strumento. Viviamo un cambiamento culturale molto forte: il motto è trust & achievement. In smart working l’orario di lavoro non è più controllato, non ci sono più gli straordinari ma soltanto gli obiettivi condivisi con il capo», continua Di Fonzo.

La parola ai lavoratori. «All’inizio di giugno erano 800 gli smart worker su 1.300 dipendenti elegibili, ma in ottobre di quest’anno il 94% della popolazione aziendale sarà elegibile». A parlare questa volta è Pascal Bernard, head of shared services and smart working project manager, che spiega che da una survey interna «il 97% dei colleghi ritiene positiva l’esperienza dello smart working, il 76% ritiene che la produttività sia aumentata, il work life balance è migliorato per l’89% delle persone, la motivazione per il 68%». E c’è anche chi, l’87%, dice che in futuro auspica di poter gestire due giorni o più a settimana da remoto».

In parallelo allo smart working che è uno dei più importanti strumenti di work life balance si sta sviluppando anche il welfare, condiviso con i sindacati nell’ultimo integrativo. E anche qui parlano i numeri. «Tutti i lavoratori hanno un portafoglio welfare con una cifra iniziale caricata dall’azienda che va dai 350 euro degli impiegati ai 700 euro dei funzionari - spiega Di Fonzo -. Inoltre è possibile trasformare, sino a un massimo di 3mila euro, il premio variabile in strumenti di welfare. Il 64% dei lavoratori si dichiara interessato a convertire il premio annuale di produttività in welfare, beneficiando inoltre di un’ulteriore quota del 20% aggiunta dall’azienda che corrisponde al 50% del suo risparmio fiscale».

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