Rapporti di lavoro

Collaborazioni, il filo sottile dell’attività coordinata

di Adalberto Perulli

Il Jobs act , con l’introduzione del lavoro “coordinato” dal committente (articolo 2, comma 1, del dlgs n. 81/2015) e la conferma delle collaborazione coordinate e continuative senza progetto (ormai abrogato) ha creato un nuovo rompicapo per i giuristi del lavoro: come distinguere una prestazione continuativa “ organizzata ” da una prestazione continuativa “ coordinata ”?

La soluzione del rompicapo è di primaria importanza perché le collaborazioni “organizzate” vengono disciplinate dalle norme sul rapporto di lavoro subordinato, mentre le co.co.co. rimangono saldamente attratte nel campo gravitazionale del lavoro autonomo.

Il rompicapo aveva indotto chi scrive a ritenere che, alla luce del nuovo quadro normativo, il concetto di coordinamento dovesse interpretarsi diversamente dal passato: non più un potere unilaterale del committente, come era stato tradizionalmente inteso (con tutte le conseguenti difficoltà di distinguere tra potere di coordinamento del committente e potere direttivo del datore di lavoro), bensì una prerogativa del creditore all’interno di un programma negoziale regolato dal contratto, tale da non influire sull’autonomia di organizzazione della prestazione riservata al collaboratore. Infatti, considerato che il lavoratore parasubordinato rimane saldamente ancorato al lavoro autonomo, la coordinazione della sua prestazione non deve interferire con la piena autonomia nell’organizzazione della prestazione lavorativa, atteggiandosi a mero criterio di collegamento di questa con l’attività del creditore. Come dire che il requisito del coordinamento rende sì più complessa la situazione rispetto ad un contratto d’opera puro, che non prevede alcun coordinamento (articolo 2222 del Codice civile), senza tuttavia implicare l’ampliamento delle prerogative spettanti al committente. Quest’ultimo, come creditore della prestazione, non esercita né un potere direttivo, né un potere organizzativo: il coordinamento attiene alle condizioni programmatiche del contratto e non potrà manifestarsi attraverso prerogative organizzative unilaterali non concordate nel programma negoziale.

Il coordinamento dovrà invece penetrare nella dimensione bilaterale del contratto, unico contenitore volitivo in grado di garantire la congruenza fra l’attività espletata dal prestatore e gli obiettivi propri del committente secondo una programmazione negoziale concordata fra le parti e rispettosa dell'autonomia organizzativa del prestatore. In questa prospettiva la co.co.co. dell’articolo 409, n. 3, del Codice di procedura civile recupera una dimensione di maggiore autonomia sotto l’essenziale profilo dell’esecuzione dell’opera, da realizzarsi secondo le condizioni stabilite dal contratto e la regola d’arte, come recita in generale l’articolo 2224 del Codice civile.

Il Jobs act degli autonomi (legge n. 81/2017) ha recepito questa indicazione introducendo il principio secondo cui «la collaborazione si intende coordinata quando, nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti, il collaboratore organizza autonomamente l’attività lavorativa» (articolo 15).

A differenza del lavoro subordinato, in cui il processo di continua e graduale determinazione della prestazione spetta al datore di lavoro mediante potere direttivo, e diversamente dalla collaborazione “organizzata dal committente” in cui l’esecuzione della prestazione aderisce alle esigenze, anche di tempo e di luogo, dell’organizzazione pur in assenza di poteri direttivi espliciti, nella co.co.co. si accentua, dato il carattere “relazionale” del rapporto, l’orientamento al risultato affidato alla cooperazione tra creditore e debitore. Quindi nel caso delle collaborazioni ex articolo 409 del Codice di procedura civile, il coordinamento non potrà sconfinare in atti organizzativi unilaterali, né tantomeno nell’esercizio di poteri di direzione (pena la riqualificazione del rapporto nei termini della subordinazione), giacché al prestatore deve essere garantita una sfera di discrezionalità esecutiva che il committente non può invadere e che neppure gli eventuali condizionamenti organizzativi possono scalfire (pena il ricadere nell'ambito di applicazione del lavoro “organizzato” e, per questa via nella disciplina della subordinazione).

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©