Mobilità dei lavoratori in Svizzera
Al pari dell’Italia, il principio di territorialità dell’obbligo contributivo caratterizza la maggior parte delle legislazioni previdenziali dei Paesi esteri. Tale principio è riconosciuto come fondamentale anche dalla legislazione comunitaria in materia di coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, che trova applicazione non solo nei confronti degli Stati membri ma anche, in virtù di appositi accordi bilaterali, con la Svizzera. In particolare, l’art. 11, lett. a), del Reg. (CE) n. 883 del 2004 stabilisce che “una persona che esercita un’attività subordinata o autonoma in uno Stato membro è soggetta alla legislazione di tale Stato membro”. In caso di distacco comunitario, istituto che ricomprende anche la trasferta, è prevista dall’art. 12 del Regolamento una particolare deroga, statuendo che “La persona che esercita un’attività subordinata in uno Stato membro per conto di un datore di lavoro che vi esercita abitualmente le sue attività ed è da questo distaccata, per svolgervi un lavoro per suo conto, in un altro Stato membro rimane soggetta alla legislazione del primo Stato membro a condizione che la durata prevedibile di tale lavoro non superi i ventiquattro mesi e che essa non sia inviata in sostituzione di un’altra persona”. Viene indicato un limite massimo, ma non un limite minimo, pertanto tale eccezione riguarda anche trasferte di 1 giorno. Il coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, che consente di evitare di pagare in contributi anche in Svizzera per il periodo di permanenza all’estero, si attua con il citato documento portatile A1, destinato ad individuare la legislazione applicabile ai fini previdenziali, nel caso di specie quella italiana. Ne consegue che, in caso di ispezione da parte delle Autorità elvetiche, il possesso del formulario A1 da parte del lavoratore in trasferta è sufficiente per dimostrare che i contributi continuano ad essere versati in Italia durante l’assegnazione transnazionale, per quanto temporalmente limitata a 1 o 2 giorni, a nulla rilevando che l’entità estera sia partecipata al 100 per cento da quella italiana. La risposta al quesito è, in conclusione, affermativa e, consci delle difficoltà connesse, è la regolamentazione comunitaria a prescriverne l’obbligatorietà.