Rapporti di lavoro

Il peso degli accordi interconfederali sulla rappresentanza sindacale e sugli accordi collettivi per il welfare

di Gianluigi Baroni, Antonella Iacobellis, Andrea Giordan

Nelle disposizioni che regolano il trattamento fiscale dei servizi di welfare, l’articolo 51, comma 2, lettera f) del Tuir stabilisce che non concorre alla formazione del reddito di lavoro dipendente «l’utilizzazione delle opere e dei servizi riconosciuti dal datore di lavoro volontariamente o in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale, offerti alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti e ai familiari indicati nell'articolo 12 per le finalità di cui al comma 1 dell’articolo 100».
L'art. 1, co. 162, L. n. 232/16 (“Legge di Stabilità 2017”), ha fornito una interpretazione autentica della citata lett. f), in forza della quale le disposizioni ivi previste si “applicano anche alle opere e servizi riconosciuti dal datore di lavoro, del settore privato o pubblico, in conformità a disposizioni di contratto collettivo nazionale di lavoro, di accordo interconfederale o di contratto collettivo territoriale”.
È a questo punto opportuno evidenziare come il welfare aziendale sia strettamente connesso alla normativa in materia di detassazione dei premi di produttività, regolata dall'art. 1, co. da 182 a 191, L. n. 208/15 (“Legge di Stabilità 2016”).
Infatti, il co. 184 della disposizione in parola prevede che le somme e i valori di cui all'art. 51, co. 2 e ultimo periodo del co. 3 del TUIR non concorrano al reddito di lavoro dipendente né sono soggetti all'imposta del 10% qualora siano fruiti per scelta del lavoratore in sostituzione del premio di produttività, fermi restando i relativi limiti.
Il successivo co. 187, art. 1 della Legge di stabilità 2016 prevede esplicitamente che, ai fini dell'applicazione delle citate disposizioni i materi di detassazione, le somme e i valori “devono essere erogati in esecuzione dei contratti aziendali o territoriali di cui all'articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81”.
L'art. 51, D. Lgs n. 81/15 (rubricato “norme di rinvio ai contratti collettivi”) stabilisce che “[…] per contratti collettivi si intendono i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria”.
Da questo panorama normativo, lo scenario emergente suggerisce la stipula dei contratti di secondo livello regolanti il welfare avendo prima individuato le organizzazioni sindacali stipulanti, alla luce dei requisiti di rappresentatività enunciati dal più sopra citato articolo 51 del D. Lgs. n. 81/15.
Al proposito, mentre è pacifica l'individuazione delle rappresentanza aziendali unitarie e di quelle aziendali (sebbene in quest'ultimo caso non si esclude l'insorgenza di un tema di forza della rappresentatività considerata la possibilità del dissenso individuale che i lavoratori non affiliati ad una organizzazione sindacale firmataria dell'accordo aziendale potrebbero eventualmente esprimere con riferimento all'accordo sottoscritto dalle R.S.A. che non li rappresentano) diventa di fondamentale importanza la valutazione da esperire ai fini dell'individuazione delle “associazioni comparativamente più rappresentative”.
D'aiuto in tale valutazione intervengono i parametri stabiliti dal Ministero del Lavoro e Politiche Sociali con Lettera Circolare n. 10310/12, ove è stabilito che: “[…] al fine di determinare con sufficiente chiarezza il grado di rappresentatività, in termini comparativi, delle OO.SS. stipulanti, occorre far riferimento:
- al numero complessivo delle imprese associate;
- al numero complessivo dei lavoratori occupati;
- alla diffusione territoriale (numero di sedi presenti sul territorio ed ambiti settoriali);
- al numero dei contratti collettivi nazionali stipulati e vigenti.”
Inoltre, la predetta valutazione non può prescindere da quanto disciplinato dagli Accordi Interconfederali sulla misura e certificazione della rappresentanza ai fini della contrattazione collettiva, qualora siano presenti in azienda della articolazioni sindacali (lato datoriale o lato dei lavoratori) riferibili a sigle nazionali firmatarie degli Accordi Interconfederali. Si pensi, in particolare, all'Accordo Interconfederale tra CGIL CISL e UIL e Confindustria in merito al c.d. Testo unico sulla rappresentanza, che ha recepito e dato attuazione ai contenuti dell'Accordo del 28/6/11 e del Protocollo del 31/5/13, nonché all'Accordo Interconfederale tra CGIL-CISL-UIL e Confservizi.
Giusto quanto precede, con riguardo alle aziende associate al mondo di Confindustria o Confservizi, la validità del contratto aziendale potrà essere sottoposta alle disposizioni che regolano la materia nell'accordo interconfederale richiamato.
Tali Accordi, infatti, disciplinano (per le associazioni sindacali firmatarie verso le quali sono vincolanti) i criteri di misurazione e certificazione della rappresentanza ai fini della contrattazione collettiva nazionale di categoria, la regolamentazione delle rappresentanze in azienda, nonché la titolarità ed efficacia della contrattazione collettiva nazionale di categoria ed aziendale.
Al proposito è di estrema attualità l'Accordo interconfederale tra Confindustria, Cgil, Cisl e Uil del 4 luglio 2017 che, in modificazione del già vigente TU sulla Rappresentanza del gennaio 2014, attribuisce all'INPS le funzioni di raccolta del dato elettorale e della relativa ponderazione con il dato associativo.
L'Istituto dovrà eseguire le predette attività entro il 15 maggio dell'anno successivo a quello di raccolta dei dati e comunicare le risultanze a ogni sigla sindacale interessata entro la fine del medesimo mese.

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