Rapporti di lavoro

Compensi ai legali «proporzionati» al lavoro svolto

di Guglielmo Saporito

Le procedure di riscossione di crediti da parte di grandi imprese, la gestione delle vendite immobiliari in procedure esecutive su beni pignorati o ipotecati, le procedure nei confronti di inquilini morosi di alloggi pubblici o gestiti da specifiche società sono alcuni dei casi che meglio possono chiarire l’utilità del progetto di legge sull’equo compenso dei professionisti approvato lunedì dal Consiglio dei ministri.

La norma intende disciplinare gli incarichi di particolare volume, relativi a procedure massive. Alcuni esempi di tali procedure di vasto raggio sono già approdati alle aule giudiziarie, quando si discute (Tar Lazio, ordinanza3765/2017) dell’assegnazione del servizio di pubblicità legale per le vendite giudiziarie esecutive e fallimentari: queste procedure infatti si prestano a essere meccanizzate e affidate a organizzazioni che a loro volta utilizzeranno avvocati. Le prestazioni riservate ai legali iscritti all’Albo (cui si riferisce il Ddl sull’equo compenso) sono gli atti introduttivi che si rivolgono a un’autorità giudiziaria o la consulenza legale e di assistenza legale stragiudiziale, nel caso in cui sia connessa all’attività giurisdizionale, e sempre che sia svolta in modo continuativo, sistematico e organizzato (articolo 2, legge professionale 247/2012). L’avvocato, deve concordare la propria retribuzione, ma se il committente è un’impresa bancaria o assicurativa o un soggetto di dimensioni superiori alle “medie imprese” (secondo la raccomandazione della Commissione Ue, con piu di 250 dipendenti,o con fatturato annuo superiore a 50 milioni), il trattamento da loro imposto non potrà scendere al di sotto di un equo compenso.

Il Ddl non chiarisce il concetto di equità ma rinvia a criteri di proporzione rispetto a quantità e qualità del lavoro svolto: si tratta delle stesse espressioni che si leggono nell’articolo 36 della Costituzione, finora applicate unicamente al rapporto di lavoro dipendente. Attraverso il concetto di equità dovrebbero essere valutate le caratteristiche dell’attività svolta, l’urgenza, il pregio, la natura, l’importanza , la difficoltà, le condizioni del cliente, i risultati conseguiti, tutti elementi che, per prestazioni massive, sono di difficile applicazione. Sembra quindi che l’equità sia definibile unicamente con riferimento al concetto opposto, di iniquità e mercificazione dell’attività professionale, desumibile da importi estremamente ridotti. Se gli adempimenti scendono al di sotto di un importo vile, non compensato dalla massa degli affari trattati, scatta l’intervento del giudice che applica parametri generali previsti dal Dm della Giustizia 55/2014. I parametri, tuttavia, sono stati concepiti con riferimento a singoli incarichi o, al più, con riferimento a liti tra fratelli,soci o condomini, non certo con riferimento a contenziosi con centinaia di parti. Gli accordi con professionisti che rischiano di essere travolti saranno quelli predisposti unilateralmente, cioè quelli formati su base di avvisi o bandi, che si prestano a uno squilibrio tra le parti contraenti. Il criterio dell’equo compenso, quindi, attrae i legali nell’orbita dei professionisti sottoposti alle norme sugli appalti pubblici di servizi (decreto legislativo 50/2016) di recente modificate ammettendo appunto un criterio di equo compenso per le attività professionali tecniche (articolo 24, modificato dal decreto legislativo 56/2017).

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