di Cristian Valsiglio

La domanda

Buonasera, relativamente a quanto in oggetto, si richiede quale debba essere la gestione previdenziale e fiscale in fase di offerta, assegnazione e diritto di esercizio da parte del datore di lavoro.

Il reddito di lavoro dipendente è sorretto dal principio di omnicomprensività della base imponibile fiscale che sorge in virtù del collegamento tra soggetto erogatore di somme (datore di lavoro) e soggetto percettore delle predette somme (lavoratore dipendente). Le esclusioni della base imponibile sono generalmente esplicitate dal comma 2 e susseguenti dell’art. 51 del T.u.i.r. In tema di fidelizzazione del dipendente si sono consolidati nel tempo forme di concessione posticipata di azioni della società volte a mantenere un legame duraturo di medio periodo con il lavoratore. Sotto l’aspetto fiscale il regime della concessione gratuita delle azioni a dipendenti è regolamentato dalla lettera g) del comma 2 dell’art. 51 del T.u.i.r. la quale recita “il valore delle azioni offerte alla generalità dei dipendenti per un importo non superiore complessivamente nel periodo d'imposta a euro 2.065,83, a condizione che non siano riacquistate dalla società emittente o dal datore di lavoro o comunque cedute prima che siano trascorsi almeno tre anni dalla percezione; qualora le azioni siano cedute prima del predetto termine, l'importo che non ha concorso a formare il reddito al momento dell'acquisto è assoggettato a tassazione nel periodo d'imposta in cui avviene la cessione”. L’agevolazione è consentita in presenza della condizione di concessione delle azioni alla generalità dei dipendenti (e non solo a categorie di dipendenti). Inoltre i sistemi di welfarizzazione dei premi monetari in premi sociali, anche alla luce della legge 232/2016, consentono una piena agevolazione, anche oltre ai limiti indicati, ma solo a seguito di un intervento della contrattazione collettiva che consenta e regolamenti la possibilità di optare per la trasformazione del premio monetario in azioni. La fidelizzazione generalizzata e defiscalizzata tuttavia contrasta con l’obiettivo aziendale di fidelizzare il singolo, motivo per il quale generalmente sono utilizzati sistemi non sorretti da agevolazione. In particolare nelle società IT si è riscontrata la pratica delle c.d. “restricted stock units” (RSU), ossia di azioni concesse da un’azienda ai propri dipendenti, che tuttavia ne acquisiscono la titolarità effettiva dopo un certo numero di anni (periodo di vesting), e possono beneficiarne solo se in quel momento sono ancora dipendenti della stessa società. Le RSU si distinguono dalle stock option, per il fatto che quest’ultime consentono di acquistare azioni a una certa data e a un prezzo determinato, che generalmente è più favorevole rispetto a quello di mercato, soprattutto ove la performance dell’azienda sia migliorata nel periodo di vesting. Se da un lato le RSU riescono a fidelizzare maggiormente il lavoratore nel lungo termine; le stock option spingono il dipendente a ricercare high performance nel breve periodo. Nelle stock option, le azioni, una volta acquistate possono essere immediatamente rivendute, mentre la possibilità di disporre delle RSU è vincolata a finestre temporali predeterminate. In linea di massima, e con le specificità dei singoli casi, il processo di concessione delle RSU si basa su di una prima fase di assegnazione delle azioni ai dipendenti: da quel momento le azioni faranno maturare i dividendi che saranno tassati quali redditi di natura finanziaria. In questa fase e per tutto il “vesting period” le azioni non possono essere considerate a tutti gli effetti di proprietà del dipendente. Solo al termine del predetto periodo, l’azione diventa “vested” e pertanto il dipendente ne potrà pienamente disporre. In questo momento sorge la capacità contributiva in capo al dipendente il quale si vedrà assoggettare a prelievo fiscale in busta paga il valore normale delle azioni calcolato secondo le regole di cui all’art. 9 del T.u.i.r.,. L’imponibile, da assoggettare a tassazione in busta paga come fringe benefit, è calcolato moltiplicando il numero delle azioni per il valore normale alla data di maturazione pari dunque al prezzo medio dell’azione in borsa nei trenta giorni precedenti la data di maturazione. Sotto l’aspetto contributivo si dovrebbe invece propendere per l’esenzione della base imponibile ai sensi dell’art. 82 co. 24bis e 24 ter Decreto Legge 112/2008, convertito con modificazioni dalla L. 6.8.2008, n. 133. Tale disposizione, infatti, prevedendo un disallineamento rispetto al principio di armonizzazione delle basi imponibili ex art. 6 del d.lgs. 314/1997, ritiene non assoggettabili a contributi le stock option. Se in apparenza tale disposizione non sembra applicabile anche alle RSU, in virtù della chiara differenza di impostazione delle due fattispecie, si deve tuttavia rilevare un’interpretazione estensiva da parte dell’INPS, la quale con circolare 123/2009 ha avuto modo di precisare che “poiché non esiste nella legislazione italiana una definizione giuridica di stock option devesi ritenere, che il regime di esenzione contributiva trovi applicazione anche per i piani azionari non generalizzati che prevedano, previo rispetto di determinate condizioni (es. previsione di un termine per l’esercizio dell’opzione; raggiungimento di determinati livelli di performance aziendale; essere alle dipendenze della società al momento dell’esercizio dell’opzione ecc.), l’assegnazione a titolo gratuito delle azioni”.

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