Rapporti di lavoro

Corsia accelerata per stabilizzare i precari nel pubblico impiego

di Gianni Trovati

Dal 1° gennaio in tutti gli enti pubblici, nazionali e locali, partirà la corsa delle stabilizzazioni. Interesserà almeno 50mila precari “storici” della Pa, secondo stime ministeriali che potrebbero essere riviste al rialzo in corso d’opera verso quota 80mila, all’interno di una platea che al netto di scuola e forze armate conta almeno 150mila titolari di contratti flessibili. E inevitabilmente la nuova ondata contenderà il posto a chi punta a entrare dall’esterno.

Per i precari che ambiscono al contratto stabile si apre una corsia preferenziale, preparata dal piano triennale “straordinario” introdotto dalla riforma del pubblico impiego (articolo 20 del decreto legislativo 75 di quest’anno), e soprattutto dalla circolare che due settimane fa ne ha chiarito l’applicazione pratica. Nelle regole attuative, la Funzione pubblica ha allargato il più possibile le chances di stabilizzazione, agendo su tre leve: i requisiti, il budget e le procedure. Il tutto mentre il nuovo contratto degli statali, dettando la linea per tutto il pubblico impiego, rilancia la valutazione nei concorsi pubblici per i periodi di lavoro a tempo determinato di almeno 12 mesi (si veda Il Sole 24 Ore del 6 dicembre).

Basta un giorno

Sul primo aspetto, cruciale, le istruzioni ministeriali utilizzano al massimo tutti gli spazi interpretativi della normativa. Per concorrere alla stabilizzazione, ovviamente, è necessario aver maturato tre anni di anzianità negli ultimi otto, in un ambito temporale che scade il 31 dicembre prossimo. Ma per chi rispetta questo parametro generale, indicato dal decreto attuativo della delega Madia, non ci sono altri vincoli particolari. Per tentare l’opportunità del posto fisso non serve essere al lavoro oggi, e nemmeno essere stato in forze alla Pa nell’ultimo anno oppure dopo l’approvazione del decreto legislativo. L’unica condizione ulteriore è rappresentata dall’essere stati in servizio almeno un giorno dopo il 28 agosto del 2015, quando è entrata in vigore la legge delega sulla riforma della Pa di cui le nuove regole sul pubblico impiego e le stabilizzazioni sono un capitolo centrale nell’attuazione. In questo modo, la possibilità del posto fisso si apre anche a chi ha abbandonato l’amministrazione da oltre due anni, e ora può sperare di rientrarci stabilmente.

Doppio budget

Per finanziare i nuovi contratti a tempo indeterminato, gli enti potranno pescare da un budget doppio, sempre grazie alle previsioni dell’ultima circolare di Palazzo Vidoni. Le regole ordinarie distinguono infatti in due ambiti il reclutamento del personale pubblico. Per quello a tempo indeterminato la spesa massima è fissata dai vincoli al turn over, che in ogni settore della Pa limitano le assunzioni possibili a una quota dei risparmi prodotta dalle uscite dell’anno precedente: quota, va detto, che è in via di espansione in quasi tutti i comparti, con qualche novità ulteriore che potrebbe arrivare dal passaggio della legge di bilancio alla Camera per i piccoli Comuni. Per i lavori flessibili, invece, il limite è quello posto all’inizio della lunga fase delle manovre anti-crisi, che da sette anni impedisce di dedicare a collaborazioni e tempi determinati più del 50% della spesa destinata alle stesse voci nel 2009 (la regola è scritta all’articolo 9, comma 28 del decreto legge 78 del 2010). Sul punto, la circolare firmata dalla ministra Marianna Madia fa una doppia mossa: aggiorna la base di calcolo, riferendola alla media 2015-2017 invece che al vecchio 2009, e soprattutto permette di girare questi fondi alle stabilizzazioni, aggiungendoli a quelli ordinari lasciati liberi dal turn over.

La strada del part time

In questo modo, si allargano al massimo le risorse dedicate alle stabilizzazioni, in un quadro che dovrà però fare i conti anche con le altre spese aggiuntive rappresentate dai cinque miliardi lordi all’anno che serviranno a finanziare gli aumenti contrattuali. Ma per aumentare il numero di persone da far entrare in pianta stabile negli organici della Pa c’è una terza carta nelle mani dell’amministrazione. Si tratta del part time. La stabilizzazione, spiegano le norme, deve produrre posti di lavoro nelle stesse attività in cui sono, o sono stati, impegnati i precari interessati alla nuova chance. Ma le istruzioni ministeriali dicono che un contratto precario a tempo pieno si può trasformare anche in un posto stabile ma part time: offrendo un fattore di flessibilità in più alle amministrazioni, che per questa via potrebbero aumentare il numero di stabilizzazioni finanziabili a parità di risorse, ma anche un’opzione aggiuntiva al personale.

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