Rapporti di lavoro

Ente responsabile dell’infortunio quando c’è utilità

di Riccardo Borsari

Responsabilità 231 e infortuni sul lavoro in Italia e all’estero. L’introduzione tra i reati-presupposto di cui al Dlgs 231/2001 delle fattispecie colpose di omicidio e lesioni gravi e gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro (articolo 25-septies) risale alla legge 123/2007, che aveva delegato al Governo il riassetto della materia.

In sede di attuazione della legge delega, il Dlgs 81/2008 (Testo unico sicurezza) ha inserito, all’articolo 30, una disciplina di raccordo tra normativa antinfortunistica e decreto 231, descrivendo i requisiti e contenuti minimi dei modelli di organizzazione e gestione (Mog), oltre a confermarne la natura esimente per quanto concerne la responsabilità da reato degli enti. La scelta del legislatore di introdurre, per la prima volta, reati-presupposto di natura colposa ha sollevato la questione inerente la loro compatibilità con la sistematica del decreto 231 e, in particolare, con la previsione per la quale il reato deve essere commesso nell’interesse o a vantaggio dell’ente.

La criticità risiede, evidentemente, nella difficoltà di rinvenire, in un infortunio sul lavoro o in una malattia professionale, tale interesse o vantaggio, trattandosi di eventi in sé dannosi anche per l’ente.

Dottrina e giurisprudenza sono state chiamate a risolvere la questione e hanno chiarito che, in tema di responsabilità degli enti derivante da reati colposi, i criteri di imputazione del decreto 231/2001 vanno riferiti alla condotta anziché all’evento lesivo, con la conseguenza che il requisito dell’interesse ricorrerà qualora l’autore del reato abbia consapevolmente violato la normativa cautelare allo scopo di conseguire un’utilità per l’ente; mentre il vantaggio sussisterà allorquando la persona fisica abbia realizzato una politica d’impresa disattenta alla salute e sicurezza sul lavoro e si sia dunque concretizzata una sistematica riduzione dei costi nella prospettiva della massimizzazione del profitto.

Questi principi, affermati anche dalle Sezioni Unite della Cassazione nel noto caso Thyssenkrupp, sono stati recentemente ribaditi dalla Corte di cassazione nella sentenza 23089/17, con la quale i giudici hanno confermato la condanna di una Srl per l’infortunio occorso a un lavoratore addetto a una pressa piegatrice, ravvisando l’interesse e il vantaggio per l’ente nel risparmio di tempo e spesa che gli era derivato omettendo di allestire il necessario presidio antinfortunistico, di aggiornare il macchinario alle norme di prevenzione e di formare adeguatamente il dipendente.

Si deve segnalare, peraltro, che la responsabilità dell’ente non viene meno per la sola circostanza che l’infortunio sul lavoro sia occorso all’estero. L’articolo 6 del codice penale, infatti, considera il reato commesso all’interno del territorio dello Stato italiano quando qui sia avvenuta anche soltanto una parte dell’azione od omissione che lo costituisce (ad esempio, l’incompleta valutazione dei rischi), ancorché l’evento lesivo o mortale si sia verificato all’estero.

Inoltre, in base all’articolo 4 del decreto 231, anche il fatto interamente commesso all’estero diviene perseguibile in Italia (a richiesta del ministro della Giustizia ovvero, a seconda dei casi, a istanza o a querela della persona offesa), purché non sia lo stato del luogo in cui è stato commesso il fatto a procedere nei confronti dell’ente italiano.

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