Rapporti di lavoro

Una terza via tra subordinati e non

di Adalberto Perulli

La ri voluzione digitale ripropone nuova dialettica tra il lavoro e la tecnica. Secondo una interpretazione positiva del fenomeno siamo di fronte a una modalità poietica in cui la téchne, guidata dall’idea di collaborazione e condivisione, consentirà ai prestatori di lavoro di svincolarsi dalla dimensione subordinante della tecnica e il formarsi di altrettanti prosumer (produttori-consumatori) collaborativi, favorendo l’entrata in scena di nuove forme di organizzazione della vita economica.

A questa visione ottimistica se ne oppone un’altra, legata all’idea di tecnica come imposizione: in questa prospettiva il neocapitalismo delle piattaforme disvela una nuova forma di dominio tecnologico con la creazione di soggetti app-driven che eseguono servizi on-demand impartiti e monitorati da un erogatore sovraordinato all’interno di una oppressiva riedizione del taylorismo. Lungi dal realizzare il sogno del superamento del mercato, l’economia delle piattaforme altro non esprimerebbe se non l’ultima razionalità capitalistica di mercificazione del lavoro, che rimette i prestatori nelle condizioni di sfruttamento di inizio del XX secolo.

In realtà, più che il lavoro subordinato, sembra essere il lavoro autonomo a candidarsi quale potenziale destinatario dei vantaggi esponenziali messi a disposizione dalla nuova tecnologia digitale. Una ricerca del McKinsey Global Institute ha messo in luce che sono le attività indipendenti collegate alle piattaforme a crescere rapidamente, creando nuove opportunità per gli individui con effetti positivi in termini di partecipazione al mercato del lavoro, occupazione e produttività sia del capitale sia del lavoro. Questa visione di un capitalismo delle piattaforme che promuove il lavoro autonomo come paradigma della nuova economia digitale non esclude affatto che crescenti esigenze di protezione e di tutela contrattuale e welfaristica, sinora confinati nell’ambito del lavoro subordinato, si presentino anche nell’ambito del lavoro indipendente. La sicurezza sociale, l’accesso a forme di sussidio per mancanza di attività/occupazione, le assicurazioni per malattia e infortuni sul lavoro, la formazione, gli strumenti di tutela contrattuale nell’ambito di un rapporto spesso caratterizzato da asimmetrie di potere, sono altrettanti temi su cui il diritto del lavoro è chiamato a ripensare la propria funzione regolativa.

Se il Tribunale di Torino ha qualificato come autonomi i postini di Foodora e la Cour d’Appel di Parigi ha riservato la stessa qualifica agli autisti di Uber, poco interessa rilevare la perdurante validità delle vigenti categorie normative, ovviamente capaci di qualificare, in un senso o nell’altro, quei rapporti; è piuttosto il caso di preoccuparsi che quei postini o quegli autisti, pur formalmente autonomi, percepiscano una retribuzione del tutto inadeguata rispetto al criterio sociale (art. 36 Cost.), rimangano esclusi dalle protezioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro, siano soggetti a un recesso ad nutum da parte della piattaforma e non abbiano diritto ad accedere ai diritti sindacali, in quanto prestatori autonomi. Se questo accade è perché, evidentemente, l’impiego delle categorie esistenti, in un mercato del lavoro assai più articolato e complesso rispetto a quello dell’era fordista non produce risultati razionali sotto il profilo assiologico: onde una nuova e preoccupante sfasatura tra fattispecie ed effetti si pone, in guisa aggravata, nell’era dell’economia digitale interessando milioni e milioni di “lavoratori” su scala globale.

Per restituire razionalità assiologica al diritto del lavoro nell’era digitale è quindi necessario valorizzare, oltre la tradizionale dicotomia subordinazione/autonomia, elementi, come la “dipendenza economica”, in grado di estendere selettivamente tutele a rapporti di lavoro non subordinato, vuoi attraverso la creazione di figure intermedie (come ha fatto il legislatore britannico con la nozione di worker), vuoi mediante la pura e semplice previsione, all’interno delle categorie esistenti, di percorsi regolativi riservati, a fronte del ricorrere di determinati requisiti.

In Francia la Loi Travail, prevede regole applicabili ai lavoratori autonomi che ricorrono per l’esercizio della loro attività professionale a una o più piattaforme di messa in relazione per via elettronica, prevedendo una inedita «responsabilità sociale delle piattaforme», tale per cui, qualora la piattaforma determini le caratteristiche della prestazione di servizi forniti o del bene venduto e fissi il suo prezzo, vengono garantite al prestatore una serie di diritti normalmente non riconosciuti ai lavoratori autonomi. Si tratta dell’assicurazione sociale in caso di infortuni e malattie professionali, di un diritto alla formazione professionale e alla certificazione delle competenze, ma anche di diritti collettivi come il diritto di organizzazione sindacale, il diritto di sciopero inteso come peculiare strumento di tutela contro i comportamenti ritorsivi della piattaforma, e infine un diritto sociale molto importante, relativo all’indennità di disoccupazione per i lavoratori che perdano le occasioni di operare sul mercato professionale attraverso le piattaforme tecnologiche.

Questa regolazione dimostra, da un lato, che non sono necessarie forzate riconduzioni a subordinazione per garantire un’efficace base di protezione per i lavoratori app-driven e che, di converso, non è sufficiente affidarsi alle categorie qualificatorie, ma è necessario intervenire a monte della qualificazione con regolazioni selettive a tutela del lavoratore autonomo della piattaforma, per limitare le prerogative, talora molto invasive, di un contraente forte cui deve essere imposte specifichi obblighi di tutela.

In analoga prospettiva si colloca il Rapporto Taylor redatto per il governo britannico, che sottolinea come le piattaforme forniscano ai prestatori la libertà di decidere se lavorare e quale lavoro svolgere, ma allo stesso tempo li espongono a rischi per la salute e li costringono a percepire compensi che si pongono al di sotto della National Minimum Wage. Di conseguenza, si propone di ridefinire la nozione di worker impiegando il concetto di dependent contractor, attribuendo a esso uno status in grado di assicurare ai lavoratori della Gig economy flessibilità e tutele di base. Come dire che il problema di fondo, con cui anche il legislatore italiano dovrà confrontarsi, non consiste tanto nel qualificare correttamente l’operatore delle piattaforme sulla base degli indici esistenti, quanto di attribuirgli un set di tutele che garantisca quegli elementi di dignità ed equità del lavoro che, attualmente, non gli sono riconosciuti.

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