Rapporti di lavoro

Chi denuncia è più tutelato dell’accusato

di Aldo Bottini

La legge sul whistleblowing ha un’impostazione fortemente “protettiva” nei confronti di chi segnali reati o irregolarità di cui sia venuto a conoscenza nell’ambito del rapporto di lavoro. L’intento è rimuovere il timore di subire conseguenze negative in seguito alla segnalazione, incentivando le denunce di episodi di malaffare dei quali i lavoratori vengano a conoscenza.

L’obiettivo è perseguito attraverso due diverse previsioni. La prima è la prescrizione che i modelli organizzativi prevedano il divieto di atti ritorsivi nei confronti del segnalante, accompagnato dalla codificazione di sanzioni disciplinari per chi lo viola. Prescrizione rafforzata dalla possibilità di denunciare eventuali misure discriminatorie all’Ispettorato nazionale del lavoro, riconosciuta, oltre che al segnalante, anche alle organizzazioni sindacali indicate dallo stesso.

La seconda consiste nella sanzione di nullità di tutti gli atti ritorsivi o discriminatori, dal licenziamento alle sanzioni disciplinari, al mutamento di mansioni, al trasferimento, a ogni «misura organizzativa avente effetti negativi». In caso di controversia, sarà il datore di lavoro a dover dimostrare che i provvedimenti adottati sono fondati su ragioni estranee alla segnalazione.

È un sistema di tutela particolarmente “pesante”. C’è peraltro una sproporzione tra le garanzie previste per il segnalante e quelle a favore di chi sia ingiustamente accusato. Le denunce infondate sono sanzionate disciplinarmente solo se effettuate con dolo o colpa grave, concetti complessi da declinare nel caso concreto e, soprattutto, da dimostrare. Inoltre, la nullità sino a prova contraria di tutti gli atti che siano di pregiudizio al segnalante può portare a situazioni paradossali, considerato che chi commette questi atti, nella maggior parte dei casi, potrebbe non essere nemmeno a conoscenza del fatto che il destinatario è autore di una segnalazione.

Il legislatore non ha previsto alcuna limitazione temporale per la nullità. Basta che l’atto sia successivo alla segnalazione, con la conseguenza che, anche dopo anni dalla presentazione di una denuncia, il dipendente potrebbe lamentare la nullità di un licenziamento o di una qualsiasi altra modifica organizzativa con un impatto negativo, anche indiretto, sulle sue condizioni di lavoro. Senza che neppure gli sia richiesto di fornire almeno un principio di prova dell’intento ritorsivo, come invece è previsto per altre forme di discriminazione.

Sono peraltro compresi tra gli atti nulli anche ordinari provvedimenti di gestione, come cambiamenti di mansioni, avanzamenti di carriera o valutazioni di merito, che non richiedono normalmente alcuna giustificazione. La severità del sistema di tutela del denunciante comporta, per le aziende, la necessità di delimitare nei modelli organizzativi e nelle procedure di gestione delle segnalazioni, l’ambito di applicazione della normativa, escludendo le denunce anonime, peraltro poco compatibili con la normativa, che protegge la riservatezza dell’identità del segnalante, non l’anonimato. È opportuno poi limitare l’uso dei canali di segnalazione alla denuncia di condotte illecite rilevanti in base al Dlgs 231/2001 o di violazioni del modello organizzativo.

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