Rapporti di lavoro

Sono inerenti i compensi elevati se il manager è di «qualità»

di Luca Gaiani

L’inerenza “qualitativa” apre la strada alla deduzione dei compensi agli amministratori, anche se di importo ritenuto non congruo dal Fisco. Il nuovo orientamento della Cassazione, consolidatosi negli ultimi mesi (con alcune eccezioni) a seguito dell’ordinanza 450/2018 (si veda il Sole 24 Ore del 12 febbraio scorso), consente di analizzare sotto una nuova luce le contestazioni che gli Uffici sono soliti effettuare su spese che, seppur indiscutibilmente sostenute nell’ambito dell’attività di impresa, sono ritenute quantitativamente eccessive e dunque antieconomiche.

Inerenza qualitativa

Con alcune pronunce succedutesi negli ultimi mesi, la Cassazione ha in parte mutato orientamento sui presupposti del principio di inerenza, che è uno dei requisiti fondamentali per la deduzione degli oneri nel reddito di impresa.

Con l’ordinanza 450/2018 la Suprema Corte, dopo aver chiarito che l’inerenza non discende dall’articolo 109, comma 5, del Tuir (come erroneamente sostenuto in passato), ma nasce in ambito aziendalistico (e dunque extratributario), ha affermato che essa si pone su un piano strettamente qualitativo, dovendosi disattendere la tesi secondo cui, per essere inerente, un costo dovrebbe porsi in un rapporto di causa ad effetto con i ricavi.

L’inerenza, ha sostenuto la Corte, si apprezza esclusivamente con una valutazione qualitativa e deve essere distinta dalla nozione di congruità del costo. La contestazione circa l’esistenza di un comportamento antieconomico, con le relative conseguenze in termini di indeducibilità dei costi, non può pertanto basarsi sulla sproporzione o incongruità dei componenti reddituali.

Il nuovo orientamento della Cassazione contrasta con la tesi, sostenuta da tempo dagli Uffici e confermata da molte sentenze, secondo cui sarebbero indeducibili (anche solo in parte) per difetto di inerenza (“quantitativa”) quei costi che, pur sostenuti per esclusive finalità imprenditoriali, sono di importo troppo elevato e dunque non strettamente correlati con la generazione di ricavi, sottintendendo l’esistenza di scelte «antieconomiche». L’eccessiva quantificazione del costo può condurre alla sua indeducibilità solo se costituisce un indizio del fatto (da dimostrare) che esso è del tutto estraneo all’ambito dell’attività d’impresa (ordinanza 3170/2018).

Compensi agli amministratori

Dopo le ordinanze 450/2018 e 3170/2018, diverse altre pronunce hanno confermato, seppur con taluni distinguo, la natura esclusivamente qualitativa dell’inerenza (sentenze 13588/2018, 13882/2018 e 15843/2018). Di diverso avviso è invece la sentenza 15856, depositata il 15 giugno scorso, che afferma nuovamente (prendendo esplicitamente le distanze dall’ordinanza 450) che un costo è «inerente nella misura in cui può dirsi congruo», sicché deve escludersi la deduzione di «costi sproporzionati o eccessivi».

La natura qualitativa dell’inerenza, se non verrà ribaltata dalle Sezioni unite, dovrebbe impedire d’ora in poi che il Fisco contesti, come frequentemente avveniva in passato, la deducibilità di compensi agli amministratori in quanto di ammontare troppo elevato rispetto al fatturato o alla dimensione aziendale. Una volta dimostrato che la qualifica di amministratore e il relativo compenso sono stati attribuiti con regolari delibere degli organi sociali, e che l’incarico viene svolto e rispetta le condizioni civilistiche, il costo assume inerenza (qualitativa) in quanto remunera una funzione necessaria per lo svolgimento dell’attività dell’impresa. L’eventuale non congruità del compenso (peraltro tassato sul percipiente) rispetto a parametri di “economicità” e a valori di mercato non potrà comportare problemi di deducibilità, neppure parziale.

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