Rapporti di lavoro

La versione digitale rilancia il benefit del buono pasto

di Matteo Meneghello

Del «meal ticket», quell’oggetto del desiderio immortalato da Elton John in una celebre canzone del 1975, è rimasto ben poco. Il tagliandino di carta resiste, lo si vede ancora circolare nei bar, alla cassa dei supermercati, ma il «blocchetto» sta lasciando sempre di più terreno al buono pasto 2.0, dematerializzato in una tessera digitale o, in casi più estremi, trasferito in una comoda app sul telefonino. Quello che non è cambiato, dagli anni Settanta a oggi, è però l’apprezzamento per lo strumento, che gli italiani considerano senza esitazioni il loro benefit preferito. Sono circa 2,4 milioni i lavoratori che oggi usufruiscono dei buoni pasto, di cui 1,6 milioni nel privato e circa 900mila nel pubblico (buona parte dei quali nelle scorse settimane è dovuta rimanere sospesa nel limbo, in attesa che venisse gestita la transizione dopo le vicende del Gruppo Qui!). Il popolo dei buoni pasto, come è stato confermato nei giorni scorsi a Milano, durante i lavori degli Stati generali del settore, è in grado di generare un valore di circa 3 miliardi di euro, per una filiera, a monte e a valle, che rappresenta lo 0,72 per cento del pil italiano, 190mila posti di lavoro tra diretti e indotto. Altre statistiche rivelano che il 40% dei lavoratori che pranza fuori casa per lavoro usa il buono pasto, utilizzato nel 70% dei casi in bar, gastronomie e ristoranti, e per il 30% nella grande distribuzione. Gli esercizi convenzionati, in particolare, sono circa 150mila e si stima che il 40% dei loro introiti derivi dall’utilizzo dei buoni pasto.

Un settore che cresce e cambia, anche grazie agli investimenti operati nel digitale. La detassazione del buono elettronico (defiscalizzato fino a 7 euro), in vigore da luglio 2015 ha prodotto un guadagno di circa 400 euro per ogni lavoratore (calcolando 1,71 euro a pasto) e ora l’obiettivo degli attori della filiera è fare di più.

«Il mercato è solido e sempre più moderno - spiega Emmanuele Massagli, presidente di Anseb, associazione nazionale emettitrici buoni pasto, che rappresenta circa l’80% del mercato italiano -. La defiscalizzazione sta dando i risultati sperati, in termini di tecnologizzazione dei servizi, diminuzione degli abusi, velocizzazione dei tempi di pagamento agli esercenti e maggiore reddito in tasca ai lavoratori».

Con l’obiettivo di rendere il mercato «più fluido, trasparente ed efficiente», Anseb punta ora a rafforzare il dialogo con il mondo politico, i sindacati, i piccoli esercenti, la grande distribuzione, le imprese clienti e i consumatori. La discussione promossa dagli Stati generali ha provato a mettere in fila una serie di priorità, sintetizzate da parole chiave come sicurezza, dialogo, modernità, vantaggio, legalità e reputazione. Una prima richiesta esplicita emersa durante le tavole rotonde ha per oggetto, nello specifico, l’opportunità che venga innalzata a 9 euro la soglia di defiscalizzazione per la via elettronica, visto il successo della sperimentazione. Inoltre, secondo Massagli, «è importante proteggere gli esercenti da operatori scorretti», immaginando dei fondi di garanzia a tutela degli operatori e «chiarendo per via legislativa» le caratteristiche che devono avere le società di emissione. Infine, Anseb chiede la creazione di un tavolo di lavoro nazionale che coinvolga tutta la filiera del servizio sostitutivo di mensa e una revisione dei criteri di valutazione delle offerte nelle gare pubbliche.

Il sistema, come spiega Luca Beltrametti, docente dell’Università di Genova, può avere effetti importanti, sia in termini di sostegno alla domanda aggregata (e quindi al reddito e all’occupazione) che in termini di sostegno alle piccole e medie imprese. Gli spazi di crescita, inoltre, sono ancora ampi. Per questo motivo, nel giudizio del docente, «un’eventuale maggiore diffusione dei buoni pasto tra i redditi più bassi avrebbe un significativo impatto perequativo, dal momento che il beneficio fiscale è percentualmente maggiore per i redditi inferiori».

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