Rapporti di lavoro

Nella gig economy va preso atto delle collaborazioni

di Paolo Tosi

Il legislatore ha risposto alle sollecitazioni provenienti dalle nuove forme di lavoro generate dalla gig economy, prima con un provvedimento estensivo dell’ambito di applicazione della disciplina del lavoro subordinato (articolo 2, comma 1, del Dlgs 81/2015), in seguito con un intervento di ridefinizione dell’area del lavoro autonomo e coordinato non subordinato (articolo 409, numero 3, del Codice di procedura civile). Scopo degli interventi era attrarre il più possibile nell’ambito del lavoro subordinato le attività coordinate tramite strumenti digitali. Entrambi, però, non hanno inciso sul previgente contesto normativo.

Definisco l’articolo 2, comma 1, del Dlgs 81/2015 una norma apparente, giacché non contiene elementi tali da consentire l’individuazione di una fattispecie più ampia di quella dell’articolo 2094 del Codice civile: la soggezione del lavoratore al potere di organizzazione del datore è da sempre la chiave della subordinazione. La cartina di tornasole è costituita dall’impossibilità di dare una risposta all’ineludibile interrogativo che ho posto al giudice discutendo il “caso Foodora” e cioè quali elementi fattuali in meno i ricorrenti avrebbero dovuto provare per dimostrare la riconducibilità del loro rapporto anziché all’articolo 2094 (solo) all’articolo 2, comma 1. Ed è stata questa impossibilità a convincere il tribunale di Torino dell’inutilità dell’articolo 2, comma 1.

Parimenti nessun contributo innovativo è venuto dall’integrazione (pur volta a comprimere l’area delle co.co.co) recata alla definizione dell’articolo 409 del Codice di procedura civile, con la precisazione che è esclusa la subordinazione se le modalità di coordinamento della prestazione sono stabilite di comune accordo tra fruitore e prestatore (ma c’è sempre un contratto sottoscritto da entrambe le parti) e il prestatore «organizza autonomamente l’attività lavorativa» (ma se la prestazione non è organizzata dal fruitore significa che sussistono apprezzabili margini di autorganizzazione da parte del prestatore).

Pare allora opportuno che, nell’articolazione delle tutele, il troppo spesso demonizzato “lavoro coordinato e continuativo senza vincolo di subordinazione” non sia annegato nel lavoro autonomo tout court. Oggi quel lavoro gode di apprezzabili tutele: copertura pensionistica, assicurazione di malattia e contro gli infortuni sul lavoro, indennità di disoccupazione.

L’inconveniente socialmente più grave sta proprio nella circostanza che, nella pratica, le attività appartenenti all’ineliminabile “zona grigia” tra lavoro subordinato e lavoro autonomo tout court per lo più non sono ascritte a tale fattispecie e pertanto sono rese in carenza delle tutele fondamentali. Il che, tra l’altro, determina squilibri concorrenziali tra settori diversi della gig economy.

Per porre rimedio il legislatore avrebbe potuto inserire nel decreto dignità, e oggi potrebbe inserire in un intervento integrativo dell’articolo 2 del Dlgs 81/2015, una norma di questo tenore: “la disciplina legislativamente prevista per le collaborazioni coordinate e continuative senza vincolo di subordinazione si applica in tutti i casi in cui risulti di fatto un coordinamento senza vincolo di subordinazione anche se le parti non sono obbligate rispettivamente ad offrire e richiedere la prestazione e la collaborazione è svolta con continuità pur se saltuariamente nell’arco della giornata, del mese, dell’anno».

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