Rapporti di lavoro

Il regista dell’innovazione nelle law firm

di Chiara Bussi

In gergo si chiama «Cino». Sta per «chief innovation officer» ed è il regista dell’innovazione a tutto tondo negli studi legali. Nella realtà internazionale esiste da circa cinque anni e da un paio sta facendo capolino anche da noi, nelle sedi delle grandi law firm globali o negli studi italiani di grandi (e piccole) dimensioni.

Se i suoi segni particolari sono l’età tendenzialmente giovane e la competenza tecnologica, ciascuno declina questo ruolo in modo diverso a seconda delle esigenze. Con l’obiettivo di migliorare l’offerta per le attività ripetive (come la due diligence) o per quelle ad alto valore aggiunto alla scoperta della nuova frontiera del «legaltech». Un universo ancora in gran parte inesplorato, ma che è destinato a modificare radicalmente le modalità di lavoro degli studi e i rapporti con i clienti.

Dentons, tra i più importanti studi a livello mondiale, ha creato questa figura nel 2017, affidando l’incarico a John Fernandez. L’anello di congiunzione con l’Italia è il chief operating officer Ugo Bisacco, il quale si scontra ogni giorno con le resistenze culturali tipiche del nostro Paese, dove la lingua e la complessità del sistema giuridico possono rappresentare ostacoli non di poco conto.

«Oltre all’innovazione di mantenimento con un miglioramento costante della tecnologia dei processi operativi - sottolinea Bisacco - puntiamo ad applicare l’intelligenza artificiale nelle attività di due diligence e a creare una piattaforma di collaborazione tra il nostro studio e i clienti per poter monitorare l’andamento delle pratiche e condividere le soluzioni. Sono iniziative già adottate a livello internazionale che stiamo cercando di importare in Italia».

Linklaters ha nominato Maziar Jamnejad innovation manager per l’Italia all’inizio di febbraio. «La strategia che stiamo portando avanti - spiega Andrea Arosio, managing partner per il nostro Paese - ha permesso allo studio di migliorare in modo significativo la qualità dei servizi offerti ai clienti in aree strategiche come il project management».

Ora la law firm è impegnata su due fronti complementari, interno ed esterno. Da un lato, si punta a migliorare e a rendere più efficienti i processi grazie alla tecnologia, semplificando la comunicazione e creando le condizioni per un’operatività flessibile, anche da remoto. Dall’altro, si lavora sulle modalità di creazione del valore per i clienti attraverso questi strumenti. «L’utilizzo intelligente della tecnologia - dice Arosio - consente di proporre prodotti di alta qualità in tempi più rapidi e in un formato maggiormente fruibile e integrato con i processi interni del cliente. L’intelligenza artificiale consente la gestione sempre più efficace di ingenti volumi di dati e la proposta di servizi legali innovativi».

Marco Imperiale di Lca è stato il primo chief innovation officer di uno studio italiano a partire dal gennaio 2018. «Dopo aver effettuato una ricognizione delle esperienze a livello internazionale - dice - ho progettato un modello ad hoc che va al di là della tecnologia e punta all’innovazione dei servizi offerti alla clientela». Con il passare del tempo il puzzle si arricchisce di nuovi tasselli: «Quest’anno - aggiunge Imperiale - intendiamo lanciare proposte in ambito di blockchain per i nostri clienti, in particolare per la certificazione delle opere d’arte, della proprietà intellettuale e della filiera del cibo». Un’altra direttrice sarà quella dello sviluppo del litigation funding sul territorio e di un utilizzo massivo di piattaforme di intelligenza artificiale, soprattutto per i servizi a basso, valore aggiunto come la due diligence, che sono diventati una sorta di commodity.

Nella “boutique” Crc Lex la regia dell’innovazione è affidata al ventisettenne Giulio Messori che ha elaborato una strategia a tre punte per le due sedi di Milano e Padova. Lo studio conta 18 professionisti, con competenze che dal diritto civile e familiare si sono estese alla proprietà intellettuale, all’e-commerce e al fintech. «Il primo obiettivo - afferma Messori - è cercare di differenziare il nostro lavoro da quello dei concorrenti valorizzando il nostro marchio; il secondo è quello di sviluppare la cultura dell’innovazione; il terzo punta a superare le aspettative della clientela che non sono state ancora soddisfatte». Non semplici slogan, ma azioni concrete che richiedono una conoscenza di tutta l’attività dello studio, un dialogo costante con i vertici e la capacità di relazionarsi con la clientela.

Qualcosa si muove anche tra i big italiani. Come Grimaldi. «Stiamo istituendo - spiega il managing partner Francesco Sciaudone - un Osservatorio per l’innovazione, con soci, giovani avvocati, esperti e rappresentanti dei clienti, che deve formulare proposte e suggerimenti anche sulla base di analisi del mercato che sono già state avviate». A spingerli non è solo una questione di innovazione tecnologica, chiarisce: «Il nostro obiettivo è rendere il cliente sempre più consapevole che il nostro servizio è su misura e non industriale. Quindi l’innovazione non serve per ridure i costi e standardizzare le attività, ma a migliorare proprio questi servizi ad alto valore aggiunto».

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