Rapporti di lavoro

All’estero pericoli da valutare in base al Paese

di Uberto Percivalle e Giulia Spalazzi


I recenti fatti di cronaca in Libia, con relative ricadute su lavoratori di aziende italiane presenti in quel Paese, possono costituire lo spunto per valutare l'adeguatezza e la conformità alla legge non solo del proprio documento di valutazione dei rischi, ma anche delle procedure aziendali in essere per la gestione del personale inviato all'estero.

Il ministero del Lavoro, già con l'interpello 11/2016, ha chiarito che il datore di lavoro deve valutare tutti i rischi che attengono alla prestazione lavorativa dei propri dipendenti, ivi inclusi i potenziali e peculiari rischi “ambientali” legati alle caratteristiche del Paese in cui l’attività dovrà essere svolta. Tali sono i cosiddetti “rischi generici aggravati”, legati alla situazione geopolitica del Paese (per esempio guerre civili, attentati terroristici, colpi di Stato) e a quella sanitaria del contesto geografico di riferimento, da porre in correlazione all'attività lavorativa svolta in quel Paese dai propri dipendenti. L'articolo 2087 del codice civile e l'articolo 18 del decreto legislativo 81/2008, infatti, impongono di adottare tutte le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori.

Se oggi il tema può essere per certi aspetti limitato quando i dipendenti sono inviati o distaccati in Paesi europei (più precisamente, nell'Unione europea e nello Spazio economico europeo) il problema si manifesta con maggiore intensità laddove il Paese sia extracomunitario e, in particolare, rientri tra quelli “a rischio” segnalati dalla Farnesina.

In tema di tutela delle condizioni di lavoro all'estero, la direttiva quadro europea 89/391 Cee ha rappresentato una tappa fondamentale, garantendo in ambito comunitario prescrizioni minime alle quali gli Stati membri possono derogare se la legge nazionale prevede o stabilisce misure più severe e di maggior tutela. Inoltre, in base ai principi stabiliti dall'articolo 6 della Convenzione di Roma del 1980 e dall'articolo 8 del regolamento CE 593/2008 (”Roma I”), sebbene le parti possano scegliere la legge regolatrice del contratto, tale scelta non può privare il dipendente della protezione assicuratagli dalle disposizioni imperative e alle quali non è consentito derogare convenzionalmente in virtù della legge che sarebbe stata applicabile al rapporto di lavoro.

In ambito extracomunitario, invece, il rapporto di lavoro degli italiani all'estero è regolato dal decreto legge 317/1987 il quale non solo prevede (articolo 1) che tali addetti operanti in Paesi con cui non siano in vigore accordi di sicurezza sociale devono essere obbligatoriamente assicurati contro le malattie, gli infortuni sul lavoro nonché le malattie professionali e iscritti alle relative forme di previdenza e assistenza sociale presso Inps e Inail, ma altresì che (articolo 2) il contratto di lavoro preveda «idonee misure in materia di sicurezza». Il distacco, infatti, non può e non deve essere visto come un sistema per ridurre il grado di tutela nei confronti dei dipendenti, e il datore di lavoro rimane comunque responsabile della tutela del personale che opera all'esterno dei confini territoriali italiani. Pertanto deve essere garantito, nell'ambito della definizione di eventuali standard di sicurezza, il rispetto di quelli più stringenti disponibili e, se questi coincidono con i valori stabiliti dalle norme italiane, deve esserne garantita la completa aderenza.

L'azienda deve valutare non solo i rischi generici aggravati, ma dovrebbe altresì adottare procedure ad hoc a integrazione del documento di valutazione dei rischi, quali ad esempio le “travel policies”, volte a comprendere azioni preliminari e cautele da mettere in atto prima della partenza del lavoratore, quali a nostro avviso e a titolo esemplificativo:
1) segnalare alla Farnesina la partenza del lavoratore (https://www.dovesiamonelmondo.it/public/comefunziona);
2) individuare un referente all'interno della società ospitante che sia formato per la gestione di eventuali emergenze;
3) assicurare al proprio personale assistenza sanitaria quanto più possibile analoga a quella italiana anche mediante la stipula, ove necessario in base al Paese di destinazione, di convenzioni con strutture sanitarie private;
4) verificare, in base al Paese di destinazione, l'opportunità di dotare il personale di sistemi di comunicazione audio satellitare;
5) predisporre piani di evacuazione, trasporto o rimpatrio sanitario avvalendosi anche di accordi con organizzazioni internazionali o locali;
6) prevedere un'eventuale assicurazione per i familiari dei lavoratori presenti in loco;
7) identificare chi, presso le autorità consolari o locali, possa essere un referente per la gestione di eventuali emergenze.

È poi consigliabile - laddove le mansioni prevedano (o possano prevedere) trasferte o distacchi esteri - che il lavoratore sia edotto anche circa:
a) reperimento di farmaci all'estero (si pensi, ad esempio, a coloro che assumo terapie sistemiche);
b) norme igieniche e comportamentali (quali cibi o bevande da non consumare o come consumarli/conservarli, utilizzare strumenti di protezione quali zanzariere, creme repellenti, indumenti);
c) caratteristiche dei vaccini resi disponibili per il Paese di destinazione, controindicazioni, modalità di somministrazione, periodo di immunizzazione;
d) usanze locali vigenti (ad esempio relative al consumo di alcolici o all'abbigliamento);
e) quali mezzi di trasporto utilizzare nel quotidiano.

Prima dell'invio all'estero, avvalendosi anche della collaborazione del medico competente, il datore di lavoro deve procedere a una valutazione dell'idoneità medica e fisica del lavoratore, se del caso attuando i necessari interventi sanitari sia prima della partenza (per esempio profilassi vaccinale), sia a destinazione.

La conoscenza del contesto ambientale e geopolitico nel quale l'azienda decide di inviare i propri addetti rappresenta l'elemento cardine per l'attuazione di una corretta valutazione dei rischi e per la tutela della salute e sicurezza, e le risultanze di tali attività devono costituire la base della formazione da erogare ai lavoratori prima del loro trasferimento. Questo anche al fine di evitare che, a seguito della mancata tutela della salute e sicurezza al di fuori dei confini nazionali, il datore di lavoro e la società si vedano comminare le sanzioni penali previste dalla legge italiana, ivi incluse quelle previste dal Dlgs 231/2001 che comporta pesanti esborsi economici in capo all'azienda in caso di morte o lesioni personali gravi causate dalla violazione di norme a tutela della salute e sicurezza sul lavoro.

Da ultimo, vale la pena ricordare che (articolo 6 del codice penale) il reato, sebbene verificatosi all'estero, si considera comunque commesso in Italia quando l'azione o l'omissione che lo costituisce è qui avvenuta in tutto o in parte, ovvero qui si è verificato l'evento che è la conseguenza dell'azione o dell'omissione. Applicando tale principio ai reati conseguenti a violazioni della normativa a tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, quali le lesioni o l'omicidio con violazione della normativa antinfortunistica e l'omicidio colposo e le lesioni personali colpose (articoli 589 e 590 del codice penale), ne deriva che si considera commesso in Italia anche un evento verificatosi all'estero se il reato deriva causalmente da un'azione/omissione che è avvenuta in tutto o in parte nel territorio dello Stato italiano come, ad esempio, un infortunio sul lavoro causato da una incompleta valutazione dei rischi da omessa formazione del dipendente o, ancora, da una insufficiente sorveglianza sanitaria od omessa fornitura di idonei dispositivi di protezione individuale.

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